AREZZO

Piazza della Libertà – 52100 Arezzo
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Visita la città
Arezzo è tutta da visitare con il naso all’insù, guardando le torri medievali, le chiese romaniche, gli scorci dei vicoli che tolgono il fiato. Le magnifiche testimonianze di arte e storia della terra aretina, sono tutti i giorni sotto gli occhi di chiunque viva o si trovi a passeggiare come turista da queste parti, durante tutto l’anno: un’inesauribile fonte di ricchezza e di cultura che si fa respirare, osservare tra chiese, chiostri, palazzi, piazze, pietre e vicoli del centro storico. Diventando ancora più evidente nell’incontro diretto con le opere straordinarie custodite nei nostri musei, nei corridoi di palazzi pubblici e nei luoghi di culto.

Cultura e folclore
Un viaggio nel tempo che porta a calpestare lo stesso acciottolato dove camminò Petrarca, dove visse e lavorò Vasari, dove c’è il pozzo da cui Boccaccio trasse ispirazione per una sua novella... Terra di gente di spirito e di lettere, Pietro Aretino, Guido Monaco, Mecenate e di grandi artisti come Piero della Francesca e Andrea della Robbia, e dove anche il genio dei Leonardo trovò ispirazione.
Dove ogni angolo riserva una sorpresa e dove lo sguardo non smette di sorprendersi. Chiedete anche ad una pietra e saprà darvi una storia, di quelle che incantano e portano a riscoprire tesori lontani. Storie di cavalieri impavidi che lottano contro i Saraceni o storie di piccoli tesori di un passato più recente e che adornano le strade del centro storico durante le Fiera Antiquaria, storie per tutti coloro che vorranno ascoltare.

Ospitalità
Accoglienza schietta e calorosa, come quella dei borghi di un tempo. Raffinati hotel storici oppure strutture nuove, moderne e funzionali, b&b ricchi del fascino semplice e della cura dei dettagli oppure agriturismi immersi nella pace del paesaggio toscano, chiunque potrà trovare la soluzione più adatta ai propri desideri. Cibo semplice e ricco di colori e di sapori. Enoteche ricche dei nostri prodotti tipici e trattorie e ristoranti che offrono le cucine di un tempo oppure nuovi gusti tutti da assaporare...Serate di aperitivi tra le mura antiche, eventi culturali, passeggio tra le nuove tendenze della moda ma anche nella semplicità di un vicolo illuminato solo da un antico lampione. Città dell’oro, dei sapori e anche della moda saprà accogliervi e viziarvi.
Nei dintorni

Intra Tevere et Arno, l’altra terra d’Arezzo tra Tevere e Arno, lungo le strade tratteggiate sulla mappa di Leonardo da Vinci, alla scoperta di quei paesaggi che in Valtiberina, hanno fatto da sfondo ai capolavori di Piero della Francesca; oppure per chi ama i paesaggi ricchi di fascino, spiritualità e silenzio del Casentino, in mezzo a boschi secolari, aree protette, tra borghi fortificati, castelli, orme di pellegrini, antiche pievi e santuari. Il Valdarno tra terre basse e alte, suggestive e da scoprire, passando da paesi ricchi di storia avvolti dai dirupi, borri e calanchi a colline dolci su cui sono adagiati vigneti e olivi; fino alla luminosa, soleggiata, calda di messi e colorata dai girasoli della Valdichiana, una valle ricca di storia etrusca, di sapori e profumi di natura viva.

Itinerari
La ricchezza di secoli di storia, di tradizioni e di patrimonio naturalistico si presta a innumerevoli percorsi tematici che esaltano aspetti specifici della nostra terra. Si possono seguire le orme dei grandi personaggi oppure andare alla ricerca delle delizie del nostro territorio e per smaltire qualche kilo magari concedersi un po’ di trekking in giro per la città o nei meravigliosi dintorni. Se ne può scegliere uno oppure tutti…lasciatevi guidare dalla curiosità e dall’incredibile libertà che regala l’esser turisti anche se solo per poco tempo.

BUCINE

Via Vitelli, 2 – 52021 Bucine (Arezzo)
Tel. (+39) 055/991271

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Bucine e la Valdambra https://youtu.be/k_sCEXbh2wA
Olionostrum http://www.olionostrum.it/
Museo Virtuale della Valdambra https://www.comune.bucine.ar.it/turismo/it/museo-virtuale-della-valdambra.html
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Il territorio
Il territorio del Comune di Bucine, situato nella fascia dove le colline del Chianti toccano la valle superiore dell'Arno, lungo il percorso del torrente Ambra, si pone al centro di tre importanti città della Toscana: Arezzo, Siena e Firenze.
Ricco di storia, abitato fin dall'antichità nel territorio di Bucine troviamo fossili, reperti antropologici, resti d'insediamenti etruschi e romani, importanti castelli e pievi del Medioevo. Durante le guerre il territorio di Bucine ha subito eccidi che tutt'ora sono ricordati nei Luoghi della Memoria.
Il paesaggio è caratterizzato da colline coperte da una vegetazione di eriche, ginepri, lecci, corbezzoli e ginestre, alberi monumentali, valli ricche di terreni coltivati e produzioni tipiche, in cui spicca la coltivazione della vite e dell'olivo, restituendo alla vista paesaggi mozzafiato segnati da terrazzamenti, sorretti dai tradizionali muretti a secco.
Visitare le Frazioni e i Borghi del Comune di Bucine costituisce un'esperienza davvero piacevole, che offre al visitatore una sequenza di immagini e luoghi di straordinaria suggestione, ricchi di storia e di arte. E' facile trovarsi nel mezzo di una festa paesana, in cui mamme, babbi, nonni, nipoti, anziani, giovani e le "massaie" del paese, tutti lavorano insieme, trasmettendo la passione per il luogo in cui abitano, facendo rivivere le tradizioni, che i tempi moderni tendono a cancellare, ma che invece ancora soprattutto nelle piccole comunità restano vive.
Storia
Ricco di storia, abitato fin dall’antichità nel territorio di Bucine troviamo fossili, reperti antropologici, resti di insediamenti etruschi e romani, importanti castelli e pievi del Medioevo. Infatti in varie epoche sono stati rinvenuti utensili e punte di freccia il tutto risalente all’età della pietra.
Più numerose sono le testimonianze della permanenza nel territorio comunale di etruschi e romani. Molti sono i luoghi (Montebenichi, Campo Roma Vecchia, Capannole) dove sono stati rinvenuti utensili, frammenti di ceramica di vario tipo e resti di costruzioni; altre testimonianze si ricavano dagli antichi tracciati. In età etrusca le strade venivano aperte preferibilmente sui crinali dei rilievi collinari, invece i Romani si avvicinarono, con le loro strade, al fondo valle: la Valdambra era attraversata dalla consolare Cassia Adrianea.
Oggi è possibile percorrere alcuni tratti di questi antichi tracciati attraverso i sentieri e gli itinerari presenti nel territorio comunale, immersi in una natura in cui l'uomo da secoli si è integrato modellando le tante forme del paesaggio, nel profondo rispetto e legame con la propria terra.
A seguito della caduta dell’impero romano, nel 476 d.C., la Valdambra - come tutto il resto d’Italia e d’Europa - divenne terra di conquista per le tribù barbare, che infine vi si stabilirono, amalgamandosi con la popolazione autoctona e convertendosi al cristianesimo.
Molto più consistenti sono le testimonianze dell’età medievale. I resti di antiche rocche (Cennina, Galatrona), la topografia dei vari luoghi che un tempo furono “terre murate”, dovuta alla necessità di difendersi dalle vicine Arezzo e Siena e poi Firenze, i documenti scritti ci parlano di un territorio con numerosi castelli, con tre antichissime pievi: Santa Maria a Montebenichi, San Giovanni Battista a Petrolo e San Quirico a Capannole e due importanti abbazie: San Pietro a Ruoti e Santa Maria di Agnano.
Finita l’epoca comunale, la Valdambra entrò a far parte dei domini della Repubblica Fiorentina alla metà del XIV secolo: Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, definì la Valdambra una “valle stretta ma piena di case e tutta coltivata assai bene”. La dimora rurale da struttura semplice trovò fra il Seicento e il Settecento una sistemazione architettonica maggiormente rispondente alle esigenze funzionali con un’articolazione più ricca di volumi: disposta in genere su due piani, presentava elementi architettonici tipici, quali la loggia e la colombaia. Ancora oggi nel territorio si trovano case coloniche spesso recuperate e ristrutturate, che aprono le loro porte a chi viene in questo angolo di Toscana.
Fra l’Ottocento e il Novecento l’agricoltura ed il lavoro dei boschi continuarono ad essere le attività principali di questo territorio. Le diverse fonti storiche testimoniano la produzione di vino e di olio di ottima qualità, che in parte venivano commercializzati.
Durante la seconda guerra mondiale la Valdambra è stata teatro di numerosi eccidi da parte dei nazifascisti: nel borgo di San Pancrazio furono uccise 55 persone, quasi tutti gli uomini del borgo, le donne rimaste con forza e coraggio sono riuscite a mantenere vivo questo luogo della memoria. L’amministrazione comunale da anni si è fatta portavoce di una serie di iniziative e progetti per documentare questi drammatici avvenimenti che hanno segnato il nostro territorio.
Nella cantina di quella che al momento della strage era la fattoria Pietrangeli oggi sorge il Museo della Memoria e l’Archivio Digitale della Memoria, in cui è raccolta la documentazione dell’eccidio di San Pancrazio, con lo scopo di promuovere un impegno concreto per la salvaguardia della memoria storica, affinchè le vittime e le loro famiglie diventino patrimonio della memoria collettiva e le nuove generazioni non dimentichino, ma diventino futuri cittadini coscienti della propria storia e possano essere così costruttori di pace.
Nell’edificio attinente, acquistato e ristrutturato dall’amministrazione comunale, sorge anche il Centro Interculturale Don Giuseppe Torelli, dedicato al parroco della comunità, anch’egli vittima della strage. Nel giardino retrostante l’edificio è stato piantato un roseto in memoria dei civili trucidati dove ogni pianta ha una targhetta che riporta il nome di una vittima. Nella parte alta del giardino una grande opera marmorea di Firenze Poggi scruta l’orizzonte e sul leggio espone una scritta: “Qui a perpetuo ricordo dei misfatti della storia, nel luogo segnato dalla tragedia, una madre afferma la vita come un faro sul giardino delle rose…. verso la valle”.

CAPOLONA

Piazza della Vittoria, 1 – 52010 Capolona (Arezzo)
Tel. (+39) 0575/421317

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Capolona, capoluogo del comune omonimo, ha una storia singolare.
Il comune si estende sulle pendici del Pratomagno verso sud e sulla riva destra dell’Arno e coincide storicamente con i possedimenti dell’antichissima Abbazia di San Gennaro a Campoleone. In realtà Capolona è un nome che individua non tanto un centro in particolare, quanto tutta una zona, avendo cambiato durante i secoli la localizzazione del capoluogo; dopo l’abbandono dell’Abbazia, situata nei pressi dell’attuale abitato di Castelluccio, il territorio fu unito ad altre comunità (in particolare con Subbiano, sull’altra sponda dell’Arno) fino alla dominazione napoleonica.
Nel 1808 fu istituito il distretto di Capolona, Bibbiano e Belfiore e la sede comunale fu a Castelluccio, il centro più vicino all’antica Abbazia e ne acquisì il nome di Capolona. Precedentemente il nome era passato ad una località vicina, sede della pieve di San Giovanni, luogo fino ad allora chiamato Sulpiciano.
In tempi più recenti, il capoluogo, e di conseguenza il nome, è passato all’attuale Capolona, un gruppo di edifici sorti ai piedi di Caliano, in corrispondenza del ponte che attraversa l’Arno ed attorno al calzaturificio F.lli Soldini sorto a fine degli anni Cinquanta del XX secolo.
Capolona ha quindi in gran parte un aspetto moderno, lungo il fiume Arno ed è attraversata dalla strada regionale n.71 e dalla ferrovia Arezzo-Pratovecchio-Stia.
Il comune si inserisce nel paesaggio in un punto in cui il Casentino e la valle dell’Arno si aprono in un ampio ventaglio che prelude alla grande distesa formata dalla confluenza della Val di Chiana nel Valdarno e dove il fiume Arno “torce il muso” ad Arezzo. Il territorio è solcato da brevi torrenti che scendono dal displuvio più meridionale del Pratomagno, che sopra il capoluogo è abbastanza ripido, ma si addolcisce verso Pieve San Giovanni.
Capolona si trova al centro di un territorio notevolmente interessante per le sue vicende storiche: importanti ritrovamenti archeologici anche di origine neolitica sono stati scoperti intorno alle località di Cafaggio, Cafaggiolo, Cicaleto e Vico.
L’Abbazia di San Gennaro a Campus Leonis (da cui “Capolona”) fu fondata nel 972 d.c. e successivamente affidata ad alcuni monaci benedettini provenienti da Mantecassino. Dal X al XII secolo nel momento della sua maggiore potenza, l’elenco delle proprietà della Abbazia di Campoleone era enorme: castelli e corti dal Casentino all’Umbria. Fra gli ospiti illustri dell’Abbazia ci fu Papa Alessandro II, che vi soggiornò nel settembre 1064. Dalla fine del secolo XIV ebbe inizio il lento declino dell’Abbazia, che fu in seguito abbandonata, con conseguente decadenza del centro abitato corrispondente.
Il monumento più importante di Capolona è Pieve a Sietina, giunta a noi quasi nella sua forma originaria (escluso il campanile di inizio Novecento).
La Pieve a Sietina è ricordata fin dall’inizio del secolo XI con il nome di Santa Maria Maddalena di Setrina e si trova nella “terra barbaritana”, suggestiva dizione per definire una vasta area posta tra Arezzo e il Casentino dove, all’inizio dell’anno Mille, era ancora forte l’impronta delle popolazioni di stirpe germanica che nei secoli passati avevano occupato e si erano stabiliti in queste terre. Nella Pieve a Sietina ci sono affreschi trecenteschi e rinascimentali riportati al loro antico splendore da un recente restauro.
Molti borghi mantengono ancora una tipica foggia medievale con tracce più o meno evidenti di strutture murarie: ricordiamo Castelluccio con la sua “Portaccia”; Pieve di Cenina, Pieve San Martino Sopr’Arno e Pieve San Giovanni con pievi antichissime e la chiesa a Il Santo con testimonianze di origine bizantine; Bibbiano con tratti ben conservati della cinta muraria, e poi Lorenzano, Baciano, Ponina, Cenina, Migliarino, Vezza, Casavecchia, Busseto, Apia, Santa Margherita, Poggio al Pino, Figline, Busenga, Ierna e tanti altri piccoli borghi e casolari dispersi nelle colline.
Sono da segnalare una serie di tracce di strutture difensive e fortificate che facevano probabilmente parte del sistema difensivo risalente all’alto medioevo: Lorenzano, Casella, Caliano, Belfiore.
Un territorio tutto da scoprire, a piedi, in mountain bike o a cavallo, che rende il visitatore il vero protagonista, spingendolo alla ricerca di scorci paesaggistici e viste panoramiche di rara bellezza.

CASTELFRANCO – PIANDISCO’

Sede Castelfranco di Sopra
Piazza V. Emanuele, 30
Telefono (+39) 055/9631231

Sede Pian di Scò
Piazza del Municipio, 3
Telefono (+39) 055/9631200

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protocollo@pec.comune.castelfranco-piandisco.ar.it

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Già nei primi mesi del 2012 le Amministrazioni comunali di Castelfranco di Sopra e Pian di Scò, già appartenenti all’Unione dei Comuni del Pratomagno, hanno dato avvio ad un attivo dibattito sull’opportunità di giungere alla costituzione di un comune unico ed iniziato il percorso per la fusione dei due comuni, argomento di grande attualità inserito nei temi della riforma del Sistema delle Autonomie e della semplificazione dei livelli istituzionali a livello nazionale e in conformità alla L.R. Toscana n. 68/2011.

Dopo un confronto e un’analisi dell’opportunità della fusione, favorita anche da un’oggettiva difficoltà per i piccoli comuni di gestire i servizi, a causa della scarsità di risorse, entrambi i Consigli comunali hanno convenuto che la creazione di un unico centro di governo, in un territorio che per ragioni storico-sociali ed economiche aveva già forti connotazioni di unitarietà e numerose sinergie in vari ambiti (ad esempio tariffe e aliquote omogenee, servizi gestiti in forma associata), avrebbe permesso la prosecuzione di percorsi di virtuosità amministrativa, riducendo la spesa pubblica e migliorando il livello di efficienza dell’azione amministrativa.
Il dibattito precedente il referendum consultivo, che ha coinvolto le popolazioni delle due comunità attraverso specifici forum partecipativi, al fine di informare sui vantaggi della fusione e raccogliere il contributo dei cittadini, si è arricchito anche di riflessioni di carattere storico comprovanti l’origine comune delle suddette comunità e i loro forti legami fin dalla costituzione di un unico comune nel 1774, sotto l’impulso del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena (mentre poi successivamente, in seguito all’occupazione napoleonica, le due comunità si sono divise nel 1809).
Una volta richiesta e ottenuta dal Parlamento Toscano la proposta di legge regionale di fusione dei Comuni di Castelfranco di Sopra e Pian di Scò, il 21 e 22 aprile 2013 si sono tenuti i referendum consultivi nelle due comunità, che hanno visto vincere il Sì con il 56,59% (61,02% di si a Castelfranco; 52,66% di si a Piandiscò) con un’affluenza pari al 60,74% a Castelfranco e al 34,01% a Pian di Scò. Dopo il voto favorevole dei cittadini, nei mesi successivi si è provveduto all’unificazione, che è stata gestita direttamente dai sindaci delle due comunità fino al 31 dicembre 2013, e poi, sciolti i due Consigli comunali, dal Commissario inviato dalla Prefettura, che traghetterà la nuova comunità verso le prime elezioni del comune di Castelfranco Piandiscò.

CASTIGLION FIBOCCHI

Piazza Municipio, 1
Tel. (+39) 0575/47516

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Castiglion Fibocchi si trova a circa 12 km da Arezzo in direzione Nord-Ovest, nella parte più meridionale del Valdarno superiore.
È situato alle estreme pendici del massiccio del Pratomagno, nel punto in cui degrada verso la piana di Arezzo, lungo l'antica Via Clodia (o Cassia Vetus), la strada principale che collega Arezzo a Loro Ciuffenna.
Del territorio comunale di Castiglion Fibocchi fa parte anche la piccola frazione di Gello Biscardo con il suo borgo antico splendidamente conservato.

Storia
I primi insediamenti probabilmente furono in epoca imperiale; nell'alto-medioevo furono costituite una pieve “Plebs S. Quirini supra Aurum” e sei chiese suffraganee.
Il suo nome era “Castrum Leonis de Filiis Bocchi”, ridotto poi a “Castrum de Filiis Bocchi” in seguito.
Attorno all'anno mille la zona divenne proprietà dei Conti Guidi che la munì di un castello per il controllo della strada che collegava il Valdarno al Casentino. Più tardi venne ceduto a Ottaviano dei Pazzi del Valdarno.
Nel 1384 Arezzo e il suo contado passarono alla Repubblica fiorentina, venendo infeudato in epoca granducale come Marchesato ad Alessandro del Borro. Fu inserito poi nella podesteria Laterina.
All'inizio del XVIII secolo la proprietà di Castiglion Fibocchi passò per eredità ai Duchi di Lorena, i quali abolirono il feudalesimo e elevarono il borgo al rango di comune autonomo, distaccandolo dalla comunità dei “Due Comuni distrettuali di Laterina”.
Nel 1835, con la vittoria della città di Firenze su Arezzo anche Castiglion Fibocchi venne inglobato nel territorio della Repubblica di Firenze.
Nel 1860, al plebiscito organizzato per l'annessione alla Sardegna della Toscana, Castiglion Fibocchi si espresse con schiacciante maggioranza a favore del mantenimento del regno separato (su 293 aventi diritto, 169 votanti, il regno separato ebbe 106 voti contro 46 che andarono all'annessione e 17 nulle). Da qui l'appellativo di "Re di Castiglion Fibocchi" dato a Ferdinando IV di Toscana, succeduto all'ultimo sovrano regnante di Toscana, Leopoldo II di Toscana.

Stemma
Nello stemma comunale, concesso con Decreto del Capo del Governo, un giglio d'oro raffigurato nello stemma occupa l'intero scudo di forma gotica. Il nome del fiore ricorda, per assonanza, quello di una delle località (Gello, appunto) su cui si fondò il comune, mediante il distacco dall'antica entità detta dei "Due Comuni distrettuali di Laterina”. Nessun rapporto, quindi, va stabilito tra questo giglio e quello di Firenze.

Memorie Storiche
Attilio Zuccagni-Orlandini nel suo Indicatore topografico della Toscana granducale (1856) così scrive: “Castiglion Fibocchi,Capoluogo. Antico castello cinto di cadenti mura quadrangolari, con avanzi di alcune torri che lo munivano. E' composto di circa 60 umili case in mezzo alle quali è la Chiesa dichiarata parrocchia nel passato secolo. L'antica Pieve era nel piano sottoposto, in luogo detto Pizzano, tempio or destinato ad uso di sepolcreto”.

Evoluzione
La popolazione dei castiglionesi presenta un indice di vecchiaia di poco superiore ai valori medi e, oltre al centro, abita in poche località: Gello Biscardo, Poggiale, Fondanino, Campo di città. Negli ultimi anni ha avuto una discreta espansione edilizia soprattutto in periferia. Il paesaggio riflette le caratteristiche della zona collinare e dolce si presenta il profilo geometrico.

Agricoltura
Tra le produzioni del territorio, il vino e l'olio rappresentano sicuramente i prodotti di maggior spicco.
Questa terra da cui trae origine il Chianti (Bettino Ricasoli, il creatore della formula di questo vino, fece i suoi esperimenti nella fattoria del Borro con le uve di queste colline) è però anche la terra che ha reso famoso nel mondo il vinsanto se è vero che, sempre nelle cantine del Borro, vi fossero ancora ad inizio secolo alcuni caratelli di vinsanto prodotto con le uve di Castiglion Fibocchi e che portavano la targhetta "Francesco Giuseppe, imperatore d'Austria". Da questa terra partiva quindi il vino da dessert che chiudeva i pasti sulla tavola imperiale.
Oltre ad una tradizionale attività agricola, nel territorio comunale sono nati recentemente alcuni agriturismi. Diverse sono anche le aziende agricole che operano con successo, in continua crescita ed espansione, con produzioni vinicole ed agroalimentari di prestigio, destinate sia al mercato italiano che estero.

Economia
Castiglion Fibocchi ha conosciuto importanti risultati nel settore della lavorazione dei metalli preziosi, e nei mobilifici.
Negli anni Ottanta ha conosciuto la massima occupazione di addetti e di indotto nel settore industriale delle confezioni grazie alla presenza nel territorio di importanti marchi storici.
Pur mantenendo una solida tradizione, l'ambiente si è costantemente aperto al nuovo, con evoluzioni, anche economiche, rapide ed efficienti.

Collegamenti
La qualità dei collegamenti è buona, anche se la località non è direttamente raggiungibile in treno. Un servizio di autolinee (Sita e Fabbri) copre le distanze che la separano dal capoluogo. Sulla linea ferroviaria Roma-Firenze la stazione a cui fare riferimento dista 10 km (ma ad appena 13 km c'è quella di Arezzo).
Per immettersi nell'Autostrada del Sole A1, il casello più vicino è quello di Arezzo a 22 km ma, in direzione Nord, ci si può servire tranquillamente anche del casello Valdarno.
L'aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze Peretola dista 80 km mentre il porto mercantile Livorno 2000 dista 150 km.

CASTIGLION FIORENTINO

Piazza del Municipio, 12
Tel. (+39) 0575/65641

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Il territorio
Fin dall’antichità, la presenza di importanti vie di comunicazione ha condizionato le vicende di Castiglion Fiorentino e del suo territorio. Tre erano le direttrici che attraversavano la zona: il fiume Chiana, che in età medievale era divenuto un vasto specchio d’acqua navigabile; la Via Regia, che probabilmente ricalcava il tracciato della Cassia Vetus e la via di penetrazione verso la Valtiberina. Tale condizione ha favorito il potenziamento dell’insediamento di Castiglion Fiorentino, che in età medievale divenne un importante castrum, e il sorgere di una fitta rete di castelli e strutture religiose, concentrati soprattutto nella splendida Valle di Chio.

I castelli
Lo sviluppo dei castelli intorno all’anno Mille, in un periodo di insicurezza causata dalle invasioni di popoli stranieri (saraceni, ungari e normanni), rappresentò uno strumento di organizzazione delle terre e di controllo della popolazione. In quel periodo, infatti, l’assenza di una forte autorità centrale favoriva l’ascesa di poteri locali. Inoltre, in quanto centri di aggregazione territoriale, i castelli furono elementi propulsori dell’economia locale, attorno ai quali si organizzarono importanti attività per la sussistenza dei loro abitanti e scambi a piccolo e medio raggio.

I monasteri
Sedi di vita religiosa comunitaria, di conservazione della cultura e nuclei economici di grande importanza, nei primi secoli del Medioevo i monasteri promossero il rinnovamento spirituale della Chiesa occidentale. Protagonista di questo processo fu il movimento benedettino, fondato nel VI secolo e divenuto l’ordine monastico “ufficiale” dell’impero carolingio, che favorì la trasformazione dei monasteri in centri di potere e di amministrazione del territorio. Con la successiva diffusione degli ordini mendicanti di San Francesco e San Domenico, nel basso Medioevo anche il centro e l’area limitrofa al nostro paese sono stati interessati dalla nascita di numerosi monasteri di ispirazione benedettina, francescana e domenicana.

Le pievi
Dal V secolo partì dalle città un’opera di evangelizzazione delle campagne attraverso la fondazione di chiese battesimali in località spesso lontane dai grandi centri abitati. Sorsero così le pievi, dal latino plebs (popolazione rurale), che controllavano un certo numero di chiese rurali ed erano rette da un pievano. Erano le sole ad esercitare il diritto di battesimo e di sepoltura ma, col tempo, approfittando del vuoto di potere lasciato dal crollo del sistema statale romano, divennero centri di amministrazione del territorio. Anche nell'area di Castiglion Fiorentino, durante l’alto Medioevo, sorse un gran numero di pievi. Quattro erano i pivieri, cioè gli edifici religiosi ai quali facevano capo le chiese minori castiglionesi; nei primi secoli del Medioevo la pieve di riferimento per l’intero territorio era Pieve a Retina, attuale chiesa dei Cappuccini, attorno alla quale gravitava un popoloso borgo. In seguito alle trasformazioni urbanistiche che portano alla creazione di un castello sulla collina del Cassero, il titolo di pieve passò a Sant’Angelo; con la definitiva
trasformazione del Cassero in fortezza militare, Pieve San Giuliano, attuale chiesa della Collegiata, divenne l’edificio di culto di riferimento.


CAVRIGLIA

Via Principe di Piemonte, 9
Telefono (+39) 055/966971

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comune.cavriglia@postacert.toscana.it

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Istituito il 17 marzo 1809, a seguito delle riforme napoleoniche del 1808, il Comune di Cavriglia è strettamente legato, almeno nella sua storia più recente, all’attività dell’escavazione della lignite nel bacino minerario di Santa Barbara che, per quasi un secolo, ha alimentato un impianto per la produzione di energia elettrica.
Per quanto l’attività mineraria possa aver provocato delle trasformazioni radicali nel territorio, Cavriglia conserva ancora oggi importanti testimonianze di un passato antichissimo.

Insediamenti risalenti alla preistoria sono stati documentati in numerose località e in particolare a Sereto e a Vallombrosetta, lungo la via Chiantigiana, dove sono emerse tracce di un villaggio dell’età del ferro.
La presenza etrusca, oltre che da sporadici ritrovamenti archeologici, come gli idoletti bronzei di Sereto, è attestata anche da un insediamento etrusco-romano a Montaio e da una ricca toponomastica, come ad esempio Avane, che un tempo identificava un’area abbastanza vasta, oggi corrispondente alla zona mineraria, e la stessa Cavriglia, da Caprilius. Ma Cavriglia ha conosciuto un grande sviluppo anche in epoca romana, come testimonia la Pieve di San Giovanni Battista, a Cavriglia capoluogo, che occupa parte di un preesistente insediamento tardo romano. Resti di una piccola necropoli sono stati rinvenuti lungo il borro di San Pancrazio, a valle dell’omonima Pieve, mentre nei pressi di Casignano sono stati trovati materiali fittili. Altre tracce di epoca romana si trovano a Montedominici, assieme ai ruderi di un imponente castello medievale e, più in basso, presso San Martino in Pianfranzese. In una cava di pietra ubicata sopra a Grimoli, in località Le Scaglie, durante i lavori di scavo è stata rinvenuta una moneta raffigurante l’imperatore Marcus Aurelius Valerius Maximianus (286-305 d.C.). Negli anni ’30, in località La Pietraia, sulle alture sovrastanti il Parco di Cavriglia, sono state ritrovate tombe di età etrusco-romana ed enigmatiche buche scavate nella roccia. Con molta probabilità l’insediamento romano di Cavriglia subì una sorta di spopolamento durante le invasioni barbariche e gli abitanti probabilmente si ritirarono in luoghi più sicuri e inaccessibili, come la collina dove è poi sorto il Castello di Montaio.
Durante il Medioevo era questo il centro del potere civile della zona e fino alla metà del XIII secolo ha rappresentato uno dei principali possedimenti dei Conti Guidi. Ricordato in un atto del 1194, il Castello di Montaio esercitava, verso la fine del XII secolo, la propria giurisdizione anche sulla comunità di Cavriglia. Il Castello, coinvolto nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini e raso al suolo nel 1252, fu ricostruito e divenne uno dei baluardi difensivi di Firenze.
A partire dal Duecento, Firenze riorganizzò i territori che ricadevano sotto la sua influenza, raggruppando i piccoli borghi del contado in confederazioni denominate “Leghe”. Nella zona di Cavriglia fu fondata la Lega d’Avane che, agli inizi del XV secolo, comprendeva le comunità di Meleto, Cavriglia capoluogo, Colle, Castelnuovo, Lucolena, Gaville, Piano (San Martino), Torsoli e San Donato in Avane. La confederazione subì numerose modifiche e già verso la meta del ‘400 risultava composta da soli quattro comuni: Meleto, Castelnuovo, San Martino in Pianfranzese e San Michele in Colle. Verso la metà del XVI secolo entrarono a far parte della Lega anche le comunità di Montaio e Montegonzi. La confederazione rimase in vita fino al 1774, anno in cui, a seguito delle riforme leopoldine, il territorio della Lega d’Avane fu annesso a San Giovanni Valdarno.
L’unione durò poco tempo e agli inizi dell’Ottocento, con le riforme napoleoniche, gli ex territori della Lega d’Avane furono riuniti in un’entità amministrativa autonoma: il Comune di Cavriglia.

CIVITELLA IN VAL DI CHIANA

Via Settembrini, 21 – Badia al Pino
Tel. (+39) 0575/4451

http://www.civichiana.it/hh/index.php
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Il territorio comunale fa parte della provincia di Arezzo. Si estende per una superficie pari a kmq 100,4 ed in esso abitano ca. 10.000 abitanti, con una densità di ca. 95 abitanti a kmq. L'altimetria dei centri abitati va da ca. m 300 a 600. La maggior parte della popolazione (circa il 70%) risiede nei centri di pianura quali Badia al Pino, Pieve al Toppo, Tegoleto e Viciomaggio. Il capoluogo amministrativo è Badia al Pino, dopo che nel 1917 vi venne trasferito il Comune, storicamente ubicato a Civitella, che ha comunque mantenuto la originaria denominazione. Il territorio di Civitella confina con i comuni di Laterina, Bucine e Pergine nel Val d'Arno a nord-ovest; con Monte San Savino ed Arezzo nella Val di Chiana rispettivamente a sud e a nord-est.

Civitella in Val di Chiana esisteva già, come insediamento, in età etrusco-romana, provata anche dai rinvenimenti di un'urna cineraria con iscrizione etrusca presso Viciomaggio o del cippo sepolcrale rinvenuto nella chiesa di San Pietro a Ciggiano.
Più tardi, alcuni dei luoghi che erano stati insediamenti etrusco-romani, diventeranno forti longobardi, come Gaenne o, appunto, la rocca di Civitella, con le caratteristiche di sorgere su colli notevolmente rialzati e capaci di controllare vaste zone sotto di sè, in generale confluenze fra valli diverse; a partire da questo momento si assistè all'esteso fenomeno dell'incastellamento e, in Val di Chiana, al decadimento della via Cassia, con la nascita di percorsi pedecollinari che collegavano i nuovi piccoli nuclei più facilmente difendibili.

Tra il IX e l'XI secolo l'intera area ebbe un periodo di fondamentale sviluppo, legato al diffondersi di pievi, monasteri, badie e ospedali, sorte lungo le antiche vie romane e le nuove strade medioevali. A partire da questo periodo si hanno sempre maggiori notizie del castello del "feudo di Civitella", che dopo il Mille passò al vescovo di Arezzo. Il castello venne chiamato 'Civitella del Vescovo' per la sua appartenenza ai Vescovi di Arezzo, che l'avevano eletto a capoluogo del loro viscontado in Val d'Ambra.

Guglielmino degli Ubertini
Divenuto nel 1248 vescovo di Arezzo a soli 29 anni, Guglielmino degli Ubertini (1219-1289), di famiglia ghibellina, per contrasti con il Comune della città decise di porsi a capo della fazione guelfa e si ritirò a Civitella. Tornato ad Arezzo, in pochi anni ottenne il controllo della città. A partire dal 1280 si spostò sempre più verso la fazione ghibellina: cacciato dalla città, tra il 1284 e l'85 riuscì di nuovo ad avere la meglio sui guelfi grazie all'aiuto di Buonconte da Montefeltro, il capo ghibellino che gli sarà accanto nella fatale battaglia di Campaldino. Nel 1288, i due sconfissero i senesi a Pieve al Toppo, ma l'anno seguente, nella piana di Campaldino, dovettero misurarsi con le soverchianti forze dell'esercito fiorentino, perdendo la vita sul campo.

Nel XIII secolo, Civitella subì la sua prima distruzione e fu ricostruita nel 1272 per ordine del vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini: dopo la battaglia di Campaldino (1289), Civitella venne occupata dai fiorentini; tornato ai vescovi di Arezzo nel 1311 vi fu stipulata una pace fra il vescovo Ildebrandino dei conti Guidi di Romena e gli ambasciatori dell'imperatore Arrigo VII, che segnò un periodo di allentamento nelle guerre fra guelfi e ghibellini

Gli statuti di Civitella
Nel 1501 Civitella decise di attuare una revisione degli antichi statuti, traducendoli in volgare ed aggiornandoli con nuove disposizioni. Il 21 luglio 1553 vennero autorizzati nuovi Statuti, con una struttura abbastanza simile a quelli del 1551. Grandi novità furono apportati negli Statuti del 1591, che affidavano al Podestà di Civitella la competenza criminale per i reati inferiore alle 50 lire, ma vi era molto ridotta l'autonomia locale a favore della legislazione fiorentina. Tutta la Podesteria di Civitella entrerà comunque in crisi a partire dagli inizi del XVIII secolo fino ad essere smantellata nel 1808, quando entrerà in vigore, anche in Toscana, la legislazione napoleonica prevista dal Codice civile francese. Nel 1838 infine la Podesteria venne soppressa e tutte le competenze passarono all'amministrazione di Monte S.Savino.

Nel corso del Trecento, il castello seguì le sorti di altri castelli del contado aretino, alternandosi tra il dominio dei vescovi di Arezzo e quello della repubblica fiorentina, alla quale passò definitivamente nel 1384, diventando sede di Podesteria. Nel 1554, Civitella venne attaccata dalle truppe senesi di Pietro Strozzi e difesa da Paolo da Castello, capitano al servizio di Cosimo I dei Medici. La podesteria trecentesca fu successivamente eretta in comunità nel 1774, in occasione del riordino territoriale e della riforma amministrativa voluta dal granduca Pietro Leopoldo.

La strada dei Mercanti
In epoca Leopoldina questa arteria venne utilizzata come via secondaria per trasportare il grano dalle fattorie della Valdichiana al Valdarno passando per la Valdambra, ma il tracciato esisteva sin dal Medioevo. Esso toccava alcune località rinomate per i mercati e per le fiere, come Caggiolo, Mercatale, Selvapiana, Levane. Il percorso partiva presumibilmente nei pressi della Fattoria di Fontarronco, passava da Spoiano, costeggiava il Leprone, arrivava poi a Caggiolo e alla Palazzina, per scapicollare subito dopo il passo di Mercatale. Lasciato l'attuale territorio di Civitella correva lungo la Trove verso la Valdambra per arrivare infine a Levane. Sull'origine romana della strada non esiste accordo tra gli studiosi.

Il 29 giugno 1944, durante la seconda Guerra mondiale, gli abitanti dei paesi di Civitella, Cornia e San Pancrazio (in comune limitrofo) subirono un terribile massacro da parte delle armate tedesche della divisione Herman Göering. Le vittime furono 115 a Civitella, 58 a Cornia e 71 a San Pancrazio. Per tale accaduto, nell'anno 1963, è stata conferita al Comune di Civitella in Val di Chiana una medaglia d'oro al valor civile.

CORTONA

Piazza Repubblica 1,
Telefono (+39) 0575/6371

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Il recente ritrovamento in Via Vagnotti, in pieno centro storico, di una capanna villanoviana databile alla fine dell’VIII secolo a.C. sembra confermare che l'abitato protostorico si è sviluppato esattamente nello stesso luogo centro dell’insediamento ellenistico e romano, dove ha continuato a vivere la città medievale e moderna. La più antica documentazione archeologica successiva risale al primo venticinquennio del VI sec. a.C., quando appaiono i tre grandi tumuli del piano, quello di Camucia, posto sulla strada per Chiusi, e il Primo e il Secondo Tumulo del Sodo, posti sulla via per Arezzo. Queste emergenze attestano la avvenuta formazione anche a Cortona di una ristretta classe aristocratica, autocosciente del proprio ruolo regale e della propria egemonia sul resto della compagine sociale.
Con il V secolo a. C. la città e il territorio di Cortona appaiono pienamente formati, ma solo con il IV secolo a.C. la pianta cittadina acquista una piena leggibilità grazie alla costruzione delle mura, realizzate in poderosa opera quadrata lungo un perimetro di oltre 3 Km., che ancora oggi costituiscono il segno tangibile di una straordinaria continuità della forma urbana tra l’età classica e la presente. La porta urbica meglio nota è la Porta Bifora, a doppio fornice, indagata tra il 1986 e il 1990 nel corso dei lavori che ne hanno consentito il restauro e la riapertura. La porta successivamente acquista il carattere di vera e propria “porta trionfale” di Cortona, dalla quale si dipartono due importanti vie, una diretta a Chiusi, l’altra ad Arezzo. Il momento di maggior sviluppo della città coincide con gli anni che separano la guerra annibalica, che investe le immediate vicinanze di Cortona (la battaglia del Trasimeno è del 217 a.C.), e l’acquisizione della cittadinanza romana, nell’89 a.C.
Le vicende belliche, che in Etruria provocarono la “liberazione” degli antichi servi, a Cortona lasciarono le grandi famiglie aristocratiche in posizione dominante e protagoniste di un nuovo periodo di fulgore della città. L’aristocrazia tardo – ellenistica interviene nell’urbanistica, nell’edilizia pubblica e nella sfera privata, soprattutto con realizzazioni di forte impatto ideologico, come i sepolcri. I membri di questo ceto vanno a rioccupare i grandi tumuli arcaici oppure li imitano nelle nuove forme ellenistiche, attestate dalle superstiti “Tanella di Pitagora”, “Tanella Angori” e Tomba di Mezzavia. Al momento dell’acquisizione della cittadinanza romana, il territorio di Cortona ha raggiunto una fisionomia ormai compiuta.
Le fonti letterarie ed archeologiche mostrano Cortona tranquillo municipium romano. Le evidenze edilizie più rilevanti sono costituite dalle grandi ville, di cui la più nota è quella di Ossaia, che alla fine della Repubblica entrò in possesso della nobile famiglia perugina dei Vibii Pansae e che all’estinguersi di quest’ultima gens venne annessa al fiscus imperiale, presumibilmente per lascito testamentario ai figli di Agrippa Caio e Lucio Cesari.

La villa, il cui abbandono risale a dopo la metà del V sec. d. C., è ricca di pavimenti a mosaico che coprono un arco di tempo dal I sec. a. C. al IV al sec. d.C.
Dopo gli anni bui dell’alto medioevo, nel quale è ancora dubbio se Cortona fu Diocesi ma che comunque recano importanti testimonianze come S. Michele Arcangelo e l’Abbazia di Farneta, nel 1200 Cortona si erge a Comune come tante altre città, governata da un podestà e da un capitano del popolo. Anche i Cittadini di Cortona furono divisi tra Guelfi e Ghibellini e ben presto si allearono con i Perugini per resistere al predominio aretino. Ebbero così inizio le rivalità con Arezzo. Nel 1232, alleati con i Fiorentini, i Cortonesi entrarono vittoriosi in Arezzo e ne asportarono le catene delle porte che attaccarono alle loro in segno di trofeo. Ma, nel 1258, gli aretini con l’aiuto dei guelfi cortonesi occuparono Cortona e la saccheggiarono. I cortonesi fuggiaschi nel 1261 con l’aiuto dei senesi e sotto la guida di Uguccio Casali rientrarono in Cortona per Porta Bacarellli, espugnandola dagli aretini. Era il 25 Aprile, festa di S. Marco e da quel giorno l’Evangelista fu scelto come patrono di Cortona. Notevole anche la presenza, in quei tempi, di Frate Elia da Cortona, progettista della chiesa di S. Francesco e dell’eremo delle Celle. Altra data importante per Cortona è il 1325: Papa Giovanni XXII constatata l’impossibilità di una convivenza Cortona-Arezzo, creava la nuova Diocesi di Cortona e il primo suo Vescovo Ranieri Umbertini. Numerose le testimonianze culturali del periodo, fra cui il Laudario di Cortona, una delle più suggestive ed ampie raccolte di Laude musicate. Dal 1325 al 1409 Cortona fu retta dalla signoria della famiglia Casali, che legò il proprio nome anche alla costruzione dell’omonimo Palazzo. La storia di Cortona dal 1400 si fonde con quella di Firenze. Non emergono quindi episodi storici di grande rilievo anche se nel 1509 l’assalto subito ad opera delle truppe imperiali guidate dal Principe Filiberto d’Orange costituisce un memorabile ricordo.
Con lo stabilirsi del governo di Cosimo I Medici e fino all’assoggettamento di Siena (1555) Cortona assunse una rilevante importanza militare che si materializzò nella costruzione, sui resti della rocca medioevale, della nuova fortezza medicea del Girifalco (1549) su progetto di Gabrio Serbelloni e di Francesco Lavarelli. A partire dalla seconda metà del 1500 Cortona è sede di Capitanato ed ha titolo e prerogativa di città.
Fiorì comunque la vita artistica, culturale ed economica, come testimoniano monumenti, palazzi, chiese e pitture, opere di artisti del calibro di Luca Signorelli, Pietro Berrettini o di architetti quali il senese Francesco di Giorgio Martini. Il periodo della famiglia Lorena al comando nel Granducato di Toscana si traduce, per l’intera Valdichiana, in una fase di grande opere pubbliche e creazioni di infrastrutture. Prima fra tutte, i Lorena legano il loro nome alle progressive bonifiche dalla palude e alla successiva razionalizzazione degli spazi agrari, con edificazione di casali specializzati nell’ambito agricolo, che, dal nome del Granduca Pietro Leopoldo, prenderanno il nome di “leopoldine” e che ancora oggi caratterizzano dal punto di vista edilizio la piana cortonese.
Nel 1727 è fondata a Cortona l’Accademia Etrusca ad opera dei fratelli Marcello, Filippo e Ridolfino Venuti. Si tratta della prima istituzione scientifica che si è occupata del popolo etrusco e da allora ha annoverato importanti personalità, da Voltaire a Winkelmann a Muratori, fino a Pallottino. Opera meritoria dell’Accademia è stata anche la divulgazione di varie opere, tra cui la traduzione della famosa Enciclopedia di Diderot, curata da Filippo Venuti. Il 1799 vede la città di Cortona sollevarsi contro i soldati francesi e polacchi mandati dai “Giacobini francesi” al grido di “Viva Maria”, dopo che Cortona era stata attaccata da quattromila soldati polacchi facenti parte degli eserciti di Napoleone. Con altrettanta decisione le popolazioni del territorio di Cortona avrebbero partecipato nel secolo seguente ai moti risorgimentali votando poi, nel plebiscito del Marzo 1860, a favore dell’annessione del granducato di Toscana al regno di Vittorio Emanuele II.

Libri di Viaggio
Numerosi sono stati i grandi personaggi, i visitatori e i viaggiatori che, a partire dal medioevo, furono attratti dalla bellezza della città Cortona e ne diedero testimonianza nei loro scritti. Ma la fama di Cortona riecheggia soprattutto fra i viaggiatori e scrittori anglosassoni, fra i quali G. Dennis, che ha lasciato una fondamentale pubblicazione sui suoi viaggi in territorio etrusco, gli scrittori D.H.Lawrence e H. James e sulle pagine di molti diari di viaggio composti fra il 1860 e il 1924. Più di recente lo straordinario successo del volume Sotto il sole della toscana, opera della scrittrice americana Frances Mayes, ha contribuito a divulgare in tutto il mondo la bellezza del paesaggio cortonese, la sua forza evocativa, il piacere della vita tra i colori, i profumi e i sapori della terra toscana.

Testo tratto da:
https://www.comunedicortona.it/beni-ed-attivita-culturali/visitare-cortona

FOIANO DELLA CHIANA

Piazza Cavour, 1
Telefono (+39) 348 2817084

Per i numeri diretti degli uffici consultare https://comune.foiano.ar.it/contenuti/171206/organigramma

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Il Comune di Foiano e la sua frazione Pozzo vantano origini antichissime, risalenti al VI e il IV secolo a.C., come testimonia la presenza di insediamenti etruschi e reperti archeologici in diversi musei nazionali ed internazionali di provenienza foianese, attestazione di un passato ricco di storia e tradizioni.

Resti di un ninfeo di epoca romana, sono stati rinvenuti in località "La Cisternella", non molto distante dal centro del paese. Dopo un secolo di dominio aretino, il castello di Foiano passa nel 1337 alla Repubblica fiorentina, che provvede al restauro della già esistente cinta muraria a forma ottagonale, realizzata in mattoni rossi e fornita di torri. Conteso per quasi un secolo tra Arezzo e Firenze, Foiano, nel 1387 stende il suo primo statuto.
Nel 1436 anche il vicino Pozzo viene, per ordine della Repubblica fiorentina, unito al Comune nonostante le continue ribellioni degli abitanti. Nel 1525 inizia l’opera di bonifica ad opera dei Medici e poi dei Lorena che nel 1737 succedono ai primi per l’estinzione del casato.
Nel 1789 le truppe francesi occupano la Valdichiana. Dopo l’Unità d’Italia Foiano è tra i primi paesi ad eleggere un Consiglio comunale a maggioranza popolare. Durante la dittatura fascista, nascono nella cittadina toscana associazioni clandestine che intendevano opporsi al regime e trovano la loro ragione di esistere nella lotta di Liberazione e nella Resistenza.

Il Comune di Foiano presenta nel proprio stemma araldico un “giglio fiorentino oro in campo rosso”. Sicuramente più antico e forse riferito all'antico nome "Floriano", nel 1453 la Repubblica di Firenze concede alla terra di Foiano di potersi fregiare del medesimo stemma di Firenze e ad un cittadino del titolo di “nobilis vir”, grazie alla strenua resistenza dimostrata dai Foianesi nel corso del lungo assedio al castello da parte delle truppe napoletane l’anno precedente.
Per saperne di più: https://comune.foiano.ar.it/contenuti/133159/segno-foiano

Terra di antiche origini, caratterizzata dalla costante presenza in loco di personalità importanti: da Andrea e Giovanni della Robbia a Luca Signorelli e il Pomarancio.
Proprio relativamente ai della Robbia Foiano vanta tante notevoli opere, che danno a Foiano il carattere di un piccolo e piacevole museo robbiano.
Tra tutte spicca la "Madonna della Cintola" nella Collegiata di San Martino, una delle opere più compiute di Andrea, ma anche la "Madonna con il Bambino" nella Chiesa di S. Eufemia, "l’Ascensione" nella Chiesa di San Domenico, il nucleo detto delle "Pie donne" e il "Cristo contornato da angeli" nella Chiesa di San Francesco.
Il Cinquecento ha lasciato a Foiano, nella Collegiata di San Martino, anche una grande tavola dipinta da Luca Signorelli raffigurante "l’Incoronazione della Vergine", che rivela l’espressività particolarmente efficace dell’arte del pittore.
A cavallo tra il Cinquecento ed il Seicento Antonio Cercignani detto "Il Pomarancio" (1562-1629), è attivo a Foiano dove lascia due grandi dipinti, un olio su tela che rappresenta "La Ss. Trinità con Angeli e Santi", nella Chiesa della Ss. Trinità, e la "Madonna e Santi" collocato nella chiesa della Collegiata. Scultura, pittura, ma soprattutto chiese, edifici, mura castellane, forniscono un’immagine del paese singolare per la bellezza dei materiali impiegati per la costruzione, dove trionfa il fascino del cotto.

LATERINA PERGINE VALDARNO

Via Trento, 21 – 52019 Laterina Pergine Valdarno (Arezzo)
Tel. (+39) 0575/80611

Municipio di Laterina: Corso Italia, 61
Municipio di Pergine Valdarno: Piazza del Comune, 29

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comune.laterinaperginevaldarno@postacert.toscana.it

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Il 1-1-2018 è stato istituito il Comune di Laterina Pergine Valdarno, in Provincia di Arezzo, mediante la fusione dei comuni di Laterina e Pergine Valdarno.

LATERINA

Il territorio fu abitato fin da tempi molto antichi, come testimoniano gli stanziamenti etruschi ad Impiano ed i probabili insediamenti romani dell'epoca augustea presso l'antica Pieve di San Cassiano. Lo stesso toponimo di Laterina, d’altronde, sembra risalire al latino "later" o "lateris", vale a dire mattone, a significare, quindi "fabbrica di mattoni", a riprova di ciò sta la natura argillosa del terreno e la continua presenza, fino ai giorni nostri, di numerose fornaci.
Ma lo sviluppo dell’antico borgo si ebbe a partire dall'undicesimo secolo, dopo quell'anno Mille che anziché i tanto attesi sconvolgimenti apocalittici che 1' "homo medievalis" temeva sopra ogni altra cosa, portò a profonde trasformazioni sociali che indussero le popolazioni stanziate sulla pianura, o in gruppi di case sparse per la collina, a riunirsi all'interno di un castello, un po' per motivi di sicurezza ed un po' per trovarsi nei pressi dell'allora ultimata strada maestra, la più importante via di comunicazione e di traffici commerciali del Valdarno.
Nel 1272 Laterina entra nella storia della regione, con la presa di possesso dell'Arezzo ghibellina che ne voleva fare una "terra fortificata" contro l'espansione in Valdarno dei guelfi fiorentini. Ma gli Ubertini, antica e nobile famiglia suddita dell’imperatore, persero il castello nel 1288, dopo otto giorni di assedio da parte dei fiorentini che dieci anni dopo, per fortificarlo e renderlo inespugnabile, vi costruirono la Rocca. Tutto questo però non bastò perché nel 1304 gli Ubertini riconquistarono Laterina consegnandola di nuovo ad Arezzo.
Laterina ebbe anche importanza religiosa: nella bolla di Innocenzo III la vediamo a capo di 17 chiese. Quando la diocesi fu divisa in vicariati, Laterina venne posta a capo di uno di essi, ed a comandarlo vi furono importanti famiglie sia di Firenze che di Roma. Anche l’ambiente culturale di Laterina nel 1300 era molto evoluto, vi si trovavano infatti numerosi notai e precettori.
Gli intrighi politici, i cambiamenti di alleanze e gli interessi personali mutarono di nuovo il corso della storia e tra il 1326 ed il 1336 successe davvero di tutto. Il vescovo di Arezzo Guido Tarlati, rivale degli Ubertini, fece distruggere Laterina e disperdere gli abitanti nelle campagne circostanti ed il suo successore, che era un Ubertini, ma intenzionato a circondarsi di amicizie influenti per consolidare la sua posizione, la fece riedificare cedendola alla Repubblica Fiorentina.
Negli anni successivi si susseguirono i tentativi di sommossa ad opera dei ghibellini ma ormai la secolare contesa tra Arezzo e Firenze si avviava verso l'epilogo: il 5 novembre 1384, proprio a Laterina, sconfitta ed occupata militarmente dall’esercito francese alleato dei fiorentini, veniva consegnata a Firenze. Un'altra data da ricordare è il 1744, anno in cui viene istituita la comunità distrettuale della Valdambra, di cui Laterina viene a far parte, ma della quale alla fine del secolo verrà separata per essere unita alla podesteria di Montevarchi.
Dei tempi medievali restano a Laterina numerose testimonianze: delle costruzioni difensive rimangono alcuni tratti delle mura, due porte e parte della Rocca. Le mura nel corso dei secoli hanno subito molti danni, oltre che per le battaglie, per la presenza, nelle immediate vicinanze, di cave di rena. Più volte, negli Statuti comunali del XVI secolo, si trovano disposizioni volte a limitare l’incuria degli uomini.
Arte
Il paese si è esteso nel piano sottostante il suo antico aggregato, ma conserva ancora perfettamente il centro storico che sorge su un colle che domina la pianura dell'Arno. La struttura urbanistica è modellata longitudinalmente e si è adattata alla morfologia del crinale su cui appoggia. La cinta muraria fa da limite al paese che si affaccia sulle scoscese pendici del colle. Il centro antico è costituito da tre strade parallele: quella centrale, la Via di Mezzo. termina ad est con la Rocca e ad ovest con la Torre Guinigi.
Le altre due hanno un andamento leggermente curvilineo che si adatta alla forma del colle. Più esternamente si snodava il percorso a ridosso della cinta muraria, oggi riconoscibile solo a tratti. Nella parte nord-est, accanto alla Torre Guinigi, da via S. Giuseppe si raggiunge la Porta Fredda (detta anche Porta di Ghianderino). Questa è la sola porta che resta delle tre originarie, ed è l'elemento architettonico che più ci ricorda le antiche mura, fatte di conci d’arenaria e pietre d'Arno. Vicino a questa porta sorgeva la Chiesa di S. Lorenzo e S. Andrea, una delle chiese di popolo, nel luogo dove oggi si trova il Teatro Comunale. Al centro del paese si trova la piazza dove sorge la Chiesa dei santi Ippolito e Cassiano, che ha ripreso questo titolo dall’antica Pieve che sorgeva fuori delle mura.
Su un fianco della chiesa è visibile un resto di mosaico romano proveniente sempre dalla Pieve. All'interno, sul fondo una Madonna, dipinto attribuibile alla scuola di Andrea del Sarto, che faceva parte di una composizione molto più grande che raffigurava anche alcuni santi. A sinistra, entrando, si trova un affresco quattrocentesco raffigurante la Vergine in trono col Bambino.
La chiesa, di origine medievale, fu distrutta da un terremoto ed é stata ricostruita all'inizio del '900. Un’altra Chiesa, oggi destinata a luogo per manifestazioni culturali e biblioteca, è l'Oratorio di San Rocco, costruito nel XVI secolo per devozione al santo protettore contro la peste, che in quei tempi ricorreva spesso in Valdarno. Poco sotto l'abitato di Laterina si trova il Santuario di S. Maria in Valle, dove fino a poco tempo fa il popolo si recava in pellegrinaggio per chiedere la pioggia o il sereno, secondo le necessità della campagna.
Appena fuori Laterina, lungo la via Vecchia Aretina, si trova la Villa di Monsoglio, una delle più grandiose ville dei dintorni di Arezzo. E' dotata di un grande giardino all’italiana e di interni decorati con affreschi. La villa è stata edificata su di un antico ospedale nato sulla strada (di probabile origine romana) che collegava la via Setteponti alla Cassia Adrianea, dall’altra parte dell’Arno. Fu la famiglia Peruzzi di Firenze che alla fine del Seicento trasformò l'ospedale nell’attuale villa.
Su una diramazione della via Vecchia Aretina si trova un'altra interessante costruzione, la Villa dell'lsola. Vi si trova una cappella nobiliare ed un grandioso parco ottocentesco. La facciata, che è rivolta verso San Cassiano, è di semplici ed eleganti architetture. A poca distanza dalla Pieve di San Cassiano troviamo i resti del Castello di Penna, che con i vicini castelli di Rondine e Monte sopra Rondine costituiva un'imponente struttura difensiva a controllo dell’importante viabilità tra le due rive dell 'Arno. Del castello originario, fatto distruggere dai fiorentini nel 1385, rimangono dei ruderi che però danno l'idea della grandiosità della costruzione. Accanto al castello si trova la Chiesa di San Lorenzo, menzionata già nel 1128 in un documento papale.
In prossimità di Laterina si trovava il Ponte Romito, detto cosi perché nel vicino spedale, dedicato a San Cataldo, ora divenuto Villa di Monsoglio di cui sopra, si erano insediati uno o più penitenti, di solito terziari francescani, detti comunemente dal popolo romiti. Il ponte, di cui restano antiche strutture, era importante per le comunicazioni tra Arezzo e il Valdarno. Lo spedale era stato fondato nel 1109 dai monaci benedettini di Santa Trinita in Alpe e dipendeva dalla vicina Pieve di San Cassiano e Sant'Ippolito. Tale Pieve oggi è divenuta un complesso agricolo, dove ancora è visibile la struttura della chiesa a tre navate, I'arco della porta centrale, resti di affreschi. La Pieve fu certamente edificata su una preesistente villa romana, di cui si conservano resti dei pavimenti a mosaico, e sorgeva sulla strada che collegava il Ponte Buriano al Ponte del Romito. La torre campanaria, molto massiccia, fu forse ricavata da una torre di guardia. Non è forse solo una coincidenza che nel piano di fronte alla Pieve si siano verificate numerose battaglie. E fu per motivi di sicurezza che il pievano, alla fine del 1100 si trasferì nella chiesa di Laterina, ove furono trasferiti arredi vari, due campane, e un quadro attribuito alla scuola di Andrea del Sarto, che ritraeva la Madonna coi santi Ippolito e Cassiano, Antonio e Zenobio, quadro che nel 1634 è stato restaurato e ridimensionato.
In località Vitereta è interessante la Chiesa di San Bartolommeo, che dipendeva dalla Pieve di San Cassiano e che fu oggetto, nel '700, di restauri che le diedero l'odierno aspetto barocco.

Transitando per la via Vecchia Aretina il visitatore è colpito dal paese disteso sulla collina, immerso nel verde e sovrastato dal campanile “neogotico” della chiesa parrocchiale che svetta sopra i tetti delle case.
Avvicinandosi al borgo, non, senza aver osservato lungo la strada una delle tante ex tabaccaie disseminate in questo comune, si possono notare altre interessanti testimonianze della storia locale. Al giorno d’oggi dell’antico castello rimangono ampi tratti delle mura, tracce della porta di accesso che immette ora in via della Rocca, la bella porta del Ghianderino ad Est, la Rocca contornata da giardini privati e la Porta di Fiorentina. Da qui è possibile raggiungere la Sede del Centro Culturale San Rocco realizzato sui ruderi di un’antica chiesa, destinato ad ospitare la biblioteca comunale, convegni e mostri.
Sotto le mura castellane si trovano ampi parcheggi e una volta lasciata la macchina, si può facilmente raggiungere Piazza della Repubblica, attraverso una scalinata. Su questa piazza si affaccia la chiesa dei SS. Ippolito e Cassiano, ricostruita in questo secolo dopo le distruzioni provocate dal terremoto del 1919. Al suo fianco si nota l’edificio che fu sede del vicariato che conserva molti stemmi della facciata e tracce di affreschi al piano terra. Il palazzo dell’orologio, ubicato di fronte alla chiesa, è stato invece sede del Comune fino al XIX secolo.
Corso Italia è la strada principale del borgo e collega Porta Fiorentina con la Rocca. In detta via, oltre ad alcuni edifici di notevole interesse architettonico si trova anche l’oratorio della compagnia di S. Biagio. Da non dimenticare una passeggiata lungo le antiche mura castellane dalle quali si gode uno stupendo panorama della sottostante valle dell’Arno. Arrivando al parco pubblico posto al di fuori di Porta Fiorentina, svolgendo lo sguardo verso il Pratomagno, si intravede il caratteristico paesaggio formato dalle Balze valdarnesi.

PERGINE VALDARNO

Il toponimo Pergine è ritenuto di origine etrusca, forse dal gentilizio etrusco Percenas o Percena, si veda anche Percenna attestato ad Arezzo e a Budrio in provincia di Bologna, e oggi presente nel senese nel comune di Buonconvento con Percenna. Pergine ha un riscontro anche in Trentino in Pergine Valsugana, territorio della popolazione alpina dei Reti che parlava una lingua affine a quella etrusca.

Le stazioni preistoriche rinvenute nelle terrazze adiacenti i maggiori corsi d'acqua testimoniano la precoce frequentazione di questa zona da parte dell'uomo. Ma è stata soprattutto la civilizzazione etrusca e romana che ha lasciato significative impronte su questo territorio solcato da sempre da importanti direttrici viarie: lo stesso nome Pergine pare riconducibile alla matrice culturale etrusca. Tra le testimonianze del periodo romano spicca un bell'esemplare di lamina rinvenuta in località Bagno sulla quale compare un'iscrizione imprecatoria rivolta alla divinità delle acque chiamate "acquae ferventes sive nimfas".

Il centro storico

Il castello di Pergine Valdarno è posizionato su un invidiabile altopiano affacciato sulla spianata di Laterina, al confine con la Val d’Ambra, la Val di Chiana e la periferia d’Arezzo, le sue antiche origini fanno risalire le prime notizie all’anno 1056 in un atto depositato alla Badia di Prataglia.
La mia visita inizia dal lato sud, dove appena fuori il nucleo centrale del paese c’è un caratteristico edificio medioevale in cui ha sede la stazione dei Carabinieri, proseguo percorrendo via Vallelunga, la strada principale che attraversa tutto il centro storico regalando magnifici scorci con aperture e camminamenti pedonali sotto le abitazioni dove anche i vecchi portoni in legno e le piccole finestre con inferriate testimoniano le antiche origini di questo paese.
In fondo alla via sulla destra c’è la chiesa parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo di probabile orignine ottocentesca anche se la linea architettonica attuale è del XIX secolo; svoltando a destra c’e la piazza del comune dove nel punto più alto del paese si trovano le caratteristiche abitazioni che diedero vita al nucleo originario del borgo, è assai interessante curiosare fra gli stretti vicoli interni che offrono graziosi scorci.
Affacciandosi sulla vallata che circonda Pergine Valdarno è ben visibile l’abbondanza di piante di olivo specialmente nella caratteristica “via dell’olio” infatti come a Reggello nel Valdarno Fiorentino, anche qui viene prodotto un eccellente olio extra vergine, il Pergentino esportato anche all’estero.

(Fonte e testo: https://www.lamiabellatoscana.it/author/sandro-fabrizi)

LORO CIUFFENNA

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CENNI STORICI

DAGLI ETRUSCHI AI ROMANI
Il territorio comunale di Loro Ciuffenna si estende per circa 86 kmq nel Valdarno Superiore, comprendendo il tratto più alto del crinale e le pendici sud - occidentali del Pratomagno, su un ripiano terrazzato alla destra del fiume Arno a sua volta attraversato dal fiume Ciuffenna. Già Tito Livio nel suo "Ab Urbe Condita Libri" (Liber XXII Cap. III), parla esplicitamente della zona, esaltando la ricchezza di frumento e di bestiame che avevano a disposizioni gli etruschi stanziati nel territorio che si trovava tra Fiesole e Arezzo. Ma oltre a questa testimonianza, numerose sono ormai le prove della presenza degli Etruschi: lo stesso torrente Ciuffenna (il cui nome è stato aggiunto a quello di Loro nel 1862) è di indubbia provenienza etrusca, probabilmente derivato da cefa, cerva, ed anche la località di Gropina sarebbe una derivazione dall'etrusco Krupina.
Anche le testimonianze romane lasciate sul territorio sono evidenti, basti pensare all' arteria stradale della Cassia Vetus (il percorso è tutt’oggi molto simile a quello dell’attuale strada Sette Ponti) che attraversava tutto il territorio lorese e che collegava due importanti città romane: Fiesole e Arezzo. Nel 123 d.C. tale viabilità venne sostituita dalla nuova Cassia Adrianea che collegava le città del Centro Italia in modo molto più diretto e veloce. Questo portò ad una prima emarginazione di Loro Ciuffenna nei confronti dei territori che si trovavano nel fondovalle valdarnese. Lungo questo percorso, punteggiato da numerosi insediamenti umani, sono frequenti i ritrovamenti di manufatti e di tombe che risultano particolarmente interessanti perché forniscono una indicazione indiretta anche dei tracciati viari minori dei quali non v'è traccia in altri tipi di fonti.

LORO E L'ALTO MEDIOEVO
La traccia più profonda è stata probabilmente impressa dalla Chiesa che in questa zona è presente almeno a partire dal IV secolo. L'impronta da essa lasciata è stata più forte e duratura di qualsiasi altra, sia di quella dei dominatori Bizantini sia dei successivi Longobardi che si erano stabilmente insediati nella penisola attorno al 650. Anche la dedicazione delle chiese a certi santi può essere un segno della presenza longobarda oppure bizantina.
Il mutare dello scenario politico generale, dovuto alla vittoria dei Franchi del 774, non ebbe ripercussioni locali significative e documentate. Diversamente dal passato quando, vuoi per la guerra vuoi per altri pesanti interventi amministrativi il mutamento del clima politico generale fu certamente avvertito, in questi anni la vita continuò a scorrere secondo i binari consueti.
Per quanto riguarda il Castello di Loro, l'unico dato certo è che il luogo esisteva già attorno al 900; da quel momento possiamo seguire con una certa approssimazione il fluttuare della terra lorese tra vari poteri e giurisdizioni.
LORO CIUFFENNA TERRA DI FEUDI
Loro Ciuffenna viene menzionato per la prima volta in un documento del 1059 con il quale i conti Guidi, che ne erano già feudatari, concessero il castello in subfeudo a un certo nobile Ugo, forse appartenente alla famiglia degli Ubertini; ma non molto tempo dopo la famiglia Guidi se ne riappropria con Guicciardo, il fondatore della Rocca Guicciarda. Questi continui passaggi da una famiglia feudale all'altra non possono essere spiegati senza ipotizzare un certo ruolo attivo da parte del potente vescovo aretino nella cui diocesi cadeva il paese di Loro. Sotto il dominio dei Guidi rimase comunque quasi per l'intero secolo XIII, fino a quando, nel 1293, la Repubblica Fiorentina non tolse loro ogni giurisdizione sul territorio. Loro ebbe nel basso Medioevo un notevole sviluppo urbano dovuto alla sua vicinanza con un importante arteria di traffico quale la Cassia e al suo mercato settimanale, concesso da Firenze nel corso del Trecento.
L'instabilità politica e le ricorrenti scorrerie soldatesche andarono comunque diminuendo con il tempo, e questa ritrovata sicurezza fa certamente da sfondo ad una penetrazione non più solo militare e politica dei fiorentini (o degli aretini) ma soprattutto dei proprietari terrieri cittadini. Sul finire del Quattrocento, infatti, troviamo in queste zone una proprietà contadina ridotta ai minimi termini in favore di quella di ricchi esponenti dei ceti emergenti cittadini e, anche, una cospicua proprietà ecclesiastica con una notevole diffusione dei contratti di mezzadria. Nel 1462 vengono redatti i primi statuti della comunità.

IL RUOLO DELLA PIEVE DI GROPINA
Se i Conti Guidi hanno rappresentato per lungo tempo l'elemento catalizzatore di tutti gli equilibri locali ed hanno proiettato questa zona nel quadro della più generale politica regionale impastandola con la epica lotta tra guelfi e ghibellini, sul piano religioso la stessa funzione di raccordo con le più generali vicende politiche e sociali è stata invece tradizionalmente attribuita alla pieve di San Pietro a Gropina. Si è trattato di una interessante mistificazione del ruolo e delle prerogative di questo monumento di per sé certamente significativo, ma su un piano più culturale che politico. Il fatto è che si è voluto connettere la pieve con la Contessa Matilde. L'invenzione "matildina" di Gropina, se così vogliamo chiamarla, la troviamo bene espressa nel Bossini per i quale essa sarebbe uno dei fulgidi esempi della capacità di governo e di dedizione alla chiesa di Matilde contessa di Canossa che l'avrebbe edificata o riedificata su dei miseri ruderi. In tal modo questo monumento testimonierebbe della importanza e della antichità della terra lorese e conforterebbe sulla sua precocissima dedizione religiosa. La Pieve di Gropina è un documento unico non tanto per la sua fantasiosa ascendenza canossiana, quanto piuttosto perché testimonia di un ben più profondo legame con la realtà artistica toscana altomedievale. Se la Pieve è stata assunta nel corso del tempo come fulcro religioso e culturale del territorio ciò non è dipeso solo dalle vicende immaginarie nelle quali è stata coinvolta, né dal fatto che alla sua edificazione abbia concorso un così eterogeneo insieme di manodopera di lontana provenienza; quanto dal fatto che essa si trovava incardinata su un sistema viario assai importante lungo il quale, oltre a servire per il "traffico" locale passavano i pellegrini diretti a Roma o in Terrasanta.

INSERRUZIONI ALLE SOGLIE DELL'ETA' CONTEMPORANEA
Né completamente isolata dal resto della regione, né al centro di grandi traffici (come invece risulta la zona percorsa dalla grande via medievale detta Francigena o Romea) questa zona aveva tuttavia una sua vitalità ed una non irrilevante disseminazione di più o meno grandi centri abitati: paesi, borghetti, case sparse e chiese. Tuttavia, almeno fino al XVIII secolo esso mantenne inalterati questi tratti sia per quanto riguarda il popolamento, sia per quanto riguarda l'edilizia religiosa e civile. Sul finire del Settecento l'aspetto del paese di Loro non era molto diverso rispetto a due secoli prima: il centro principale era cresciuto attorno ad un nucleo originario costituito tutto attorno al castello e poi estesosi anche oltre il torrente Ciuffenna, valicato da un ponte ad una sola arcata. In quella stessa epoca anche il Poggio di Loro aveva mantenuto le sue antiche fattezze, come del resto il castello della Trappola e la Rocca Guicciarda. Questa inerzia nell'architettura era lo specchio di una situazione più generale non particolarmente felice. Saranno comunque queste condizioni a produrre uno dei più significativi sommovimenti sociali che si ebbero in Toscana nel Settecento (il cosiddetto "Viva Maria"), che ebbe la zona del Valdarno Superiore e del lorese tra le protagoniste. Ma già l’anno dopo questi moti la società lorese appariva tranquilla e non più agitata dalle antiche paure del passato, non c'è la fame, la carestia, il disordine sociale e l’insicurezza. Adesso Loro sembra diventato un "lindo paesetto di campagna". Comunque i problemi ci sono ed il Maire ne individua almeno tre: lo scriteriato disboscamento dei monti per ricavarne legname, la cattiva condizione delle strade e l’attività della caccia praticata senza regole. La relazione del Maire consegna al XX secolo una immagine di Loro sufficientemente variegata: gli accenni agli uomini di cultura, alla storia del paese insieme a certe risorse potenzialmente sfruttabili: la montagna per il legname, l'allevamento e gli oliveti restarono solo un tentativo di disegnare un quadro di una comunità complessa, sfaccettata, problematica. Ma da allora nessun provvedimento strutturale mutò la condizione dei loresi almeno fino al compimento dell'Unità d'Italia quando si registrano nella zona le prime vere novità in campo economico.

LUCIGNANO

Piazza del Tribunale, 22
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L'area comunale e il colle su cui oggi sorge il capoluogo comunale conobbero un denso popolamento, come tutta la Valdichiana, già in epoca villanoviana ed etrusca. La zona cadde sotto Roma durante il I secolo a.C., grazie alla conquista da parte di Silla. Un contingente romano, agli ordini del console Lucio Licinio Lucullo, si stabilì proprio sul colle ove oggi sorge il borgo e qui fondò un castrum che, in onore del console, venne ribattezzato Lucinianum.

La felice collocazione geografica fece della cittadina un crocevia tra le città di Arezzo, Siena e Perugia. In effetti le tre città si contesero ripetutamente Lucignano che, dopo il periodo di libero comune, fu conquistato prima da Arezzo e poi da Perugia. Il passato perugino è tutt'oggi visibile nello stemma comunale, che consiste appunto di un grifone alato (più una stella, per indicare che la città sorge in collina).

Il declino di Arezzo, dopo la sconfitta a Campaldino contro Firenze (1289), e la progressiva sottomissione di Perugia allo Stato Pontificio, favorirono nel XIV secolo l'entrata in gioco di Siena, che occupò Lucignano. Il centro fu munito di una notevole cinta muraria (tutt'oggi perfettamente conservata) e di una rocca turrita a presidio della città. Il controllo senese perdurò fino al 1554, quando Firenze espugnò Siena, subentrandole nei territori dominati. Come in tutte le città medicee fu realizzata la Fortezza, ma venne pure proseguito lo sviluppo urbanistico, dando a Lucignano quell'aspetto tipicamente tardo-medievale che tutt'oggi possiede.

MONUMENTI E LUOGHI DA VISITARE A LUCIGNANO

- Il Palazzo Pretorio (XII secolo), attualmente adibito a sede del comune;
- La Chiesa di San Francesco (XIII secolo), di stile gotico, decorata all'interno da pregevoli affreschi di artisti senesi del XIV e XV secolo tra i quali Taddeo di Bartolo e Bartolo di Fredi. Significativa è la scena, sulla parete destra della navata, con Il Trionfo della Morte;
- La Rocca Senese (XIV secolo), imponente edificio progettato da Bartolo Bartoli e costruito sotto la dominazione senese nel settore nord-est della città;
- La Fortezza Medicea, la cui edificazione è attribuita a Bernardo Puccini;
- La Chiesa di San Giuseppe (1470);
- Il Santuario di Santa Maria della Querce (1568), posto fuori delle mura e attribuito a Giorgio Vasari;
- Il Convento dei Padri Cappuccini (1580);
- La Chiesa della Santissima Annunziata o della Misericordia (1582), decorata in stile rinascimentale;
- La Collegiata di San Michele Arcangelo (1582), costruita, su disegno di Orazio Porta nel XVI secolo, a forma di croce latina. Vi sono custodite opere di artisti del XVI e XVII secolo tra i quali Giacinto Gimignani e Matteo Rosselli, nonché un pregevole altare barocco in marmo disegnato da Andrea Pozzo ed uno splendido crocifisso ligneo del XIV secolo;
- Il Museo comunale, che ospita pregevoli opere dal XIII secolo al XVIII secolo (tra cui due dipinti, San Francesco che riceve le stimmate e Madonna col Bambino, attribuiti a Luca Signorelli) e lo splendido Albero d'oro (conosciuto anche come Albero della vita o semplicemente Albero di Lucignano). Quest'ultimo è un reliquiario (alto circa 2,60 m), realizzato, tra il 1350 e il 1471, da Ugolino da Vieri e di Gabriello D'Antonio e proveniente dalla Chiesa di San Francesco. Dal fusto centrale, appoggiato su una teca a tempietto gotico a tre piani, si liberano dodici rami (sei per parte), il tutto sormontato da un crocifisso e un pellicano. I rami sono coperti da foglie decorate e piccole teche-reliquiario a cui apici vi sono medaglioni, che una volta raccoglievano miniature e cristalli di rocca, contornati da rametti di corallo a rappresentare il sangue di Cristo;
- La cinta muraria, che delimita il centro storico a mo' di ellisse e da cui si transita tramite le due porte di San Giovanni e San Giusto, entrambe realizzate nel 1371 (mentre una terza porta, anch'essa edificata nel 1371, fu successivamente chiusa, prendendo il nome di Porta Murata; recentemente è stata riaperta ai visitatori).
- La Chiesa di San Biagio, nella frazione della Pieve Vecchia a cui dà il nome, costruita là dove sorgeva l'antica pieve romanica di San Felice (1016), di cui resta tutt'oggi la torre campanaria.

MARCIANO DELLA CHIANA

Piazza Fanfulla, 4
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Marciano sorge su un colle ed è immerso nella natura incontaminata della Val di Chiana dove prevalgono colline e bassi rilievi. Il paese si colloca lungo il Canale Maestro della Chiana che costeggia a sua volta il Sentiero della Bonifica.
Marciano come altri comuni di quest’area è stata sede del popolo etrusco e poi romano. A questa città appartengono reperti a testimonianza della civiltà etrusca come manufatti in ceramica, monili e il famoso Torso di Marciano, ovvero la raffigurazione di un guerriero. Ai romani si deve l’origine del nome, da Marcianus e la loro presenza è testimoniata dal ritrovamento dei vasi corallini.
Il borgo nel corso del XII secolo passò dalla dominazione di Arezzo a quella di Siena, la quale edificò una Rocca, per poi essere espugnata dai fiorentini. Nel 1554 fu il centro della Battaglia di Scannagallo (detta appunto battaglia di Marciano) tra senesi e fiorentini che, usciti vittoriosi ripagarono il comune con l’apposizione del giglio sullo stemma del Comune; seguì poi le sorti del Granducato di Toscana fino all’Unità d’Italia.
Da visitare a Marciano è il castello che conserva ancora oggi i caratteri dell’insediamento medioevale: il perimetro murario, ad impianto geometrico rettangolare, è oggi inglobato nelle abitazioni che vi si sono addossate e racchiude il nucleo più antico dell’abitato, cui si accede dalla porta cittadina denominata Torre dell’Orologio. All’interno delle sue mura, nel piccolo centro storico, si ergono la Rocca e la Torre monumentale insieme alla Chiesa dei SS. Andrea e Stefano (sec. XVI) ed al Campanile. A differenza dei complessi costruiti nelle città limitrofe, a funzione prevalentemente abitativa, il Castello di Marciano si caratterizza per essere un’architettura di tipo difensivo-militare. Da questa funzione storica, il Castello è stato restituito alla comunità dopo un ventennale restauro che, pur conservandone e rispettandone le strutture esistenti, ne ha permesso una nuova destinazione d’uso ovvero la creazione al suo interno di un Centro culturale polifunzionale al servizio di tutti: dall’ambiente suggestivo della grande “Sala Leonardo da Vinci”, alle Sale “Giorgio Vasari”, “Cosimo de’ Medici”, “Vittorio Fossombroni”, dal camminamento panoramico, fino alla “Terrazza sulla Val di Chiana”.
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MONTE SAN SAVINO

Corso Sangallo, 38
Tel. (+39) 0575/81771

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Monte San Savino è posto nel versante di ponente della Valdichiana aretina, adagiato su di un monte di fronte alla valle del torrente Esse.

Fu borgo etrusco, il cui popolamento si attesta soprattutto a partire dal sec. IV a.C. (necropoli del Castellare e di Case Sant'Angelo, fonti galattofore del Rigo e della Villaccia); in seguito si hanno indizi della presenza del paesello romano di Area Alta (da cui deriverebbe il toponimo Ajalta), con successiva presenza dei Goti, fino all'albore della nuova civiltà. Il toponimo Ajalta è già attestato in documenti molto antichi, a partire dal IX secolo. La pieve, risalente probabilmente al secolo VI allorchè si diffonde da Spoleto verso il nord il culto del santo martire Savino, cui essa è dedicata, era inizialmente situata in località Barbaiano laddove oggi è il cimitero comunale, e venne trasferita dov'è tuttora intorno all'anno 1175 in una posizione del colle tra l'altura dell'Ajalta e l'aggregato urbano dell'attuale piazza Di Monte.

Un documento d'archivio del 1222 ci informa come Monte San Savino era retto in quei tempi a Repubblica sotto un senatore capo di quattro consoli, uno per quartiere. Sottoposto alle mire di dominio degli Ubertini ghibellini d'Arezzo, parteggiò per la fazione guelfa: dopo aver accolto i fuorusciti aretini guelfi, guidati da Fumo Bostoli, partecipò con questi, alleatisi ai senesi e ai fiorentini, alle "giostre dal Toppo" contro Arezzo.

Seguita la battaglia di Campaldino (1289) vinta dai fiorentini su Arezzo, Monte San Savino divenne un vero e proprio baluardo guelfo del distretto fiorentino in Valdichiana. Poco più tardi, però, fu condotta con successo da Uguccione della Faggiuola podestà di Arezzo una campagna per riconquistare i castelli della Valdichiana perduti da Arezzo e il Monte passò sotto il dominio aretino.

Nel 1306, allorchè la fazione guelfa fu costretta ancora una volta dai Tarlati a lasciare Arezzo, i fuoriusciti si rifugiarono a Monte San Savino "datosi anima a corpo alla repubblica fiorentina" (Guelfi, Baldi). A quel punto i Tarlati di Arezzo, contrariati dalle continue defezioni di un così importante avamposto, punirono Monte San Savino alla prima occasione (1325).

I montigiani furono così costretti a rifugiarsi sul colle delle Vertighe, fino al rientro nel 1337 a seguito del quale fu probabilmente determinata l'attuale struttura urbanistica a fuso, tipicamente medievale, del centro storico

Monte San Savino passò successivamente sotto il dominio di Perugia, in espansione in Valdichiana grazie all'alleanza con Firenze. Nel 1339, grazie a un accordo fra perugini e fiorentini, il Monte passò sotto stabilmente sotto il dominio perugino, restandovi fino al 1380. Nei 4 anni successivi Monte San Savino passò ad Arezzo (Carlo di Durazzo) poi a Siena fino all'affermazione dell'influenza fiorentina, che dal 1384 sarebbe proseguita poi nei secoli successivi. Al momento della sottomissione a Firenze furono istituiti una podesteria comprendente Alberoro, Gargonza e Palazzuolo e vicariato (spostato poi a Lucignano nel 1388).
Nel '400 il Monte godette di una relativa tranquillità e fu allora che iniziò l'ascesa della famiglia magnatizia dei Ciocchi, originaria di Firenze. Dopo la congiura contro i Medici (1478) gli avversari muovendo alla volta di Firenze passarono per Monte San Savino e lo assediarono. Il Monte capitolò arrendendosi alla Lega composta dallo Stato della Chiesa, Siena e il Re delle Due Sicilie fino al 1481 quando ritornò sotto Firenze.
Nel 1496 la Repubblica Fiorentina concesse alla comunità di poter tenere una fiera libera che venne poi denominata "Fiera Grossa" la cui tradizione continua tuttora

Nel XVI° secolo la famiglia Ciocchi di Monte raggiunse i suoi più alti fasti soprattutto con Antonio, Cardinale e mecenate del savinese Andrea Sansovino. Antonio cercò di assicurare a Monte San Savino la protezione medicea fino al 1550, quando suo nipote Giovanni Maria di Monte fu eletto Pontefice assumendo il nome di Papa Giulio III°. A seguito di questo evento Cosimo I° dei Medici concesse la città di Monte San Savino, sotto forma di contea, al fratello del Papa, Balduino di Monte. Nel 1569 la famiglia di Monte si estinse e la cittadina tornò direttamente sotto Firenze. L'anno successivo venne istituito l'importante vicariato di Valdichiana che comprendeva Monte San Savino, Lucignano e Foiano.

Nel Rinascimento fiorirono a Monte San Savino eccellenti artisti quali ad esempio Andrea Sansovino, Niccolò Soggi (formazione peruginesca), Stefano Veltroni e Orazio Porta (di scuola vasariana), Ulisse Giocchi e lo scultore Accursio Baldi.

Una nuova infeudazione vide passare Monte San Savino dal 1604 al 1640 sotto i Marchesi Orsini. In seguito il Monte diverrà feudo personale di Mattias de Medici, fratello del Granduca Ferdinando II°. Nel 1667 divenne Principessa la consorte di Ferdinando II°, la duchessa Vittoria della Rovere. Alla sua morte nel 1694 seguì un periodo di amministrazione separata con un Commissario nominato dal Granduca: il Monte continuò tuttavia a mantenere alcuni privilegi fino al 1748 quando passò sotto il diretto dominio.

Nel Luglio del 1799 la comunità ebraica di Monte San Savino, costituitasi in sede stabile nel 1627 con la famiglia Passigli, venne espulsa a seguito dei moti aretini del Viva Maria. Nel 1814 con la fine del regime napoleonico venne ripristinata la nuova comunità del Monte.
Nel periodo risorgimentale furono molti i giovani savinesi impegnati per l'Unità d'Italia, sancita poi nel 1861. Un anno prima, 1860, la comunità savinese si era dichiarata favorevole all'annessione della Toscana al Piemonte a larghissima maggioranza.

Nel corso del XIX° secolo si registrò una maggiore stabilità economica che favorì un rapido sviluppo demografico e l'innalzamento del tenore di vita, tutto questo fino alla prima guerra mondiale, drammatico evento in cui persero la vita ben 178 savinesi, ricordati nel monumento posto in Piazza della Riconoscenza e nelle lapidi della Chiesa del Crocifisso.
Ai primordi del ventennio fascista, nel 1921, si registra la morte di Giuseppe Civitelli, caduto vittima proprio dei fascisti. Nel secondo conflitto mondiale Monte San Savino ricorda la scomparsa di circa 70 concittadini, fra cui 11 vittime di rappresaglie tedesche (fra esse due donne).
Alla caduta del fascismo fu costituito un comitato locale del CLN, mentre la città finiva vittima delle truppe tedesche in ritirata. Il primo Sindaco post-resistenza fu Bruno Tiezzi mentre al referendum istituzionale del 2 Giugno 1946 i voti per la Repubblica furono 3231 contro i 1758 per la Monarchia.

MONTEVARCHI

Piazza Varchi, 5
Tel. (+39) 055/91081 (Centralino) – 055/9108246 (Ufficio InComune)

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urp@comune.montevarchi.ar.it

Invio pratiche via e-mail:
protocollomtv@comune.montevarchi.ar.it (solo da e-mail tradizionale)
comune.montevarchi@postacert.toscana.it (solo da Posta Elettronica Certificata)

Portale turistico http://www.montevarchi.tuscany.it/
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La cittadina di Montevarchi, collocata nel cuore del Valdarno racconta al visitatore un angolo di Toscana autentica: il centro storico ben conservato con un assetto urbanistico medioevale fatto da piccoli vicoli, imponenti palazzi e aperture nelle grandi piazze, la campagna costellata da piccoli borghi dove si coltiva la terra e si vive la quiete e il silenzio del paesaggio, la buona cucina con i prodotti locali, con il vino e con l’olio e con il celebre Pollo del Valdarno.
Vista dall’alto Montevarchi ha una caratteristica forma a mandorla che la rende inconfondibile, mentre camminando si apprezzano: Piazza Varchi, sede del municipio con l’imponente Palazzo del Podestà rivestito da stemmi che ricordano l’egemonia della famiglia Guidi e di Firenze in queste terre e a fianco la Collegiata di San Lorenzo risalente al XIII secolo ma rifatta qualche secolo dopo su progetto di Massimiliano Soldani Benzi.
Storia e arte sono due termini che accompagnano all’interno di musei e chiese. Il Museo Paleontologico riporta indietro nel tempo, a circa tre milioni di anni fa, con reperti che raccontano come in questa valle abitavano elefanti e tigri dai denti a sciabola. Entrando nel Museo di Arte Sacra si scopre la sapienza della famiglia Della Robbia nella produzione delle terrecotte invetriate e qui il Tempietto attribuito ad Andrea della Robbia e il Fregio con la Consegna della Reliquia del Sacro Latte da parte del Conte Guerra rappresentano una delle più alte testimonianze della celebre famiglia fiorentina. Arte contemporanea è invece la proposta del Cassero per la Scultura, una raccolta di bronzi, marmi, gessi, terrecotte che rappresentano una collezione della scultura italiana dell’ottocento e del novecento.

Fino al 1200 circa il nome Montevarchi era associato ad un castello, sorto sulla sommità del colle oggi occupato dal convento dei Cappuccini e possesso prima di una delle grandi famiglie feudali dalla Toscana alto-medievale, i Bourbon del Monte di Santa Maria legati al vescovato aretino e successivamente passato nelle mani dei conti Guidi.
La zona a valle, dove attualmente si trova il centro storico della città, era comunemente frequentato da mercanti e agricoltori della zona, che usavano quest’area come mercatale. Si trattava di una zona di passaggio strategica tra il Pratomagno e il Chianti, tra l’antica Cassia e la nuova Cassia che dalla Valdambra collegava a Firenze. La zona nel trascorrere del tempo si trasformò in piccolo borgo con il primo nucleo urbano e la chiesa di San Lorenzo. Sotto la guida strategica dei conti Guidi, furono erette le mura e l’area mercatale ebbe sempre più importanza tanto che è documentata nel 1261 l’adozione di una propria unità di misura: “lo staio di Montevarchi”. Con il consolidamento del dominio mediceo le fortificazioni lasciarono sempre più il posto ad edifici a preminente funzione economica, come i magazzini dell’Abbondanza, addossati alle mura, che inglobano la porta del Mulino. Questi magazzini fungevano da centro di raccolta e smistamento dei prodotti delle fattorie medicee del Valdarno e della Valdichiana.
Successivamente verso la fine del Settecento Montevarchi si trasformò in centro industriale e anche grazie ai giacimenti di lignite presenti nel Valdarno lo sviluppo fu notevole. La città divenne un distretto per la produzione di cappelli di feltro e per la lavorazione della seta. Con i decenni questa attività è stata abbandonata lasciando spazio all’attuale lavorazione della pelle con produzione di scarpe e borse di qualità e dei tessuti con l’industria dell’alta moda.

SAN GIOVANNI VALDARNO

Via Garibaldi, 43
Tel. (+39) 055/91261

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San Giovanni Valdarno, uno dei principali centri del Valdarno aretino e città natale di Masaccio, è situato a metà strada tra Firenze ed Arezzo, in prossimità del casello autostradale A1 Valdarno. Circondata da colline e montagne, San Giovanni, che vanta un'antica tradizione industriale, è anche una piccola città d'arte: il Museo della Basilica, Palazzo d'Arnolfo, Casa Masaccio... sono solo alcune delle più importanti attrattive turistiche che la città offre ai suoi visitatori.
Suggestivo tutto il centro storico: sviluppatosi nel medioevo, ha mantenuto la struttura di borgo medievale, con piccolissime strade (tra cui i caratteristici "chiassi", quasi privi di sole) e l'improvvisa, inaspettata apertura sulle piazze centrali una delle quali dedicata, non a caso, a Masaccio e l'altra a Cavour. E' proprio ad Arnolfo che è stata attribuita la paternità del progetto urbanistico di San Giovanni come pure il disegno di Palazzo Pretorio, che prese poi il suo nome.

La scelta del sito e il ruolo di Arnolfo di Cambio
Castel San Giovanni sorge su di un'area pianeggiante, a breve distanza dalla riva sinistra dell'Arno, ai piedi dei primi rilievi collinari, non lontano dal preesistente castello di Pian Alberti, a cavallo della strada principale fra Firenze e Arezzo. Vasari attribuisce ad Arnolfo di Cambio la pianificazione dell'impianto urbanistico.

La pianta
La pianta di Castel San Giovanni è di una regolarità impressionante. Le mura formano un rettangolo di 100x300 brachiate fiorentine. Il percorso assiale nord/sud costituisce l'asse di simmetria dell'impianto urbano e s'interrompe a metà per dar vita alla grande piazza trasversale: questa rappresenta il secondo asse di simmetria. Due vie, parallele al borgo principale ma di larghezza inferiore, individuano gli spessori decrescenti dei doppi isolati di case a schiera. Stretti vicoli di servizio attraversano gli isolati. In senso est/ovest, oltre alla piazza, due strade rigorosamente perpendicolari a via Maestra (attuale Corso Italia) suddividono il tessuto edilizio in quattro strisce di isolati di eguale lunghezza. Gli isolati sono a loro volta divisi in sedici lotti uguali di costante larghezza. I lotti di maggiore lunghezza, attestati su via Maestra, non furono in origine interamente edificati ma si affacciavano sui vicoli di servizio con orti recintati da alti muri mentre i piani terreni erano occupati da negozi e magazzini.

Il Palazzo Pretorio e le principali emergenze monumentali
Il Palazzo Pretorio divide la piazza in due spazi percettibilmente autonomi. Sulla minore delle due piazze si affacciano la chiesa di S. Lorenzo, costruita nel 1306, e l'Oratorio di S. Maria delle Grazie, costruito nel 1484. La Pieve di San Giovanni Battista, costruita nel 1312, chiude, in direzione dell'Arno, la piazza maggiore.

La cinta muraria
La cinta muraria comprendeva in origine ventiquattro torri: robuste torri angolari ai vertici del rettangolo urbano, torri intermedie collegate da cammini di ronda sostenuti da arcatelle pensili, nonché le torri delle quattro porte urbane. Queste erano precedute, sul modello delle porte fiorentine, da corti recintate fronteggianti il fossato. Porta Aretina e Porta Fiorentina si aprivano al centro dei lati brevi del rettangolo urbano, alle due estremità di via Maestra. Porta S. Andrea e Porta S. Lorenzo si aprivano al centro dei lati lunghi e immettevano nella lunga piazza trasversale in asse con il Palazzo Pretorio. Esiste una stretta relazione fra le mura e il reticolo geometrico delle strade del centro abitato. Gli intervalli fra le torri non risultano costanti bensì misurati in rapporto alle principali strade nord/sud ed est/ovest: ognuna di esse conduce a una delle torri o delle porte della cinta muraria. Gli isolati sono ben distanziati dalla cinta muraria: esisteva una "strada" anulare, di considerevole ampiezza, che consentiva agevolmente gli spostamenti delle truppe, in caso di assedio, da un punto all'altro della cinta muraria.

Abbandono e demolizione della cinta muraria
La piena dell'Arno del 1500 ha gravemente danneggiato la cinta muraria, in corrispondenza dell'angolo di sud/est contribuendo, fra l'altro, a sfrangiare in quel punto il tessuto edilizio e la regolarità del reticolo viario. In conseguenza del crollo del tratto sudorientale delle mura e della parziale ricostruzione la pianta di Piero della Zucca del 1553 documenta la presenza di sedici torri. Le demolizioni del secolo scorso hanno cancellato, del tutto, gran parte dell'impianto fortificato inghiottendo le porte Fiorentina e Aretina e Porta S. Andrea. Porta S. Lorenzo si conserva ancora discretamente, inglobata nelle strutture della Basilica. Tratti di mura sono visibili tuttora a nord e a sud della Basilica, a sud della Pieve di San Giovanni e a est della Porta Fiorentina. Questo tratto di mura, recentemente restaurato, é compreso fra la torre angolare di nord/est e la torre intermedia "del Madonnino". Recenti scavi archeologici in occasione della ripavimentazione di via Maestra hanno rimesso in luce i resti della Porta Fiorentina: la pianta di essa é stata riprodotta in ciottoli di fiume sul piano di calpestio di via Maestra.

Le trasformazioni del tessuto edilizio
Analoghe vicissitudini hanno contribuito ad alterare le volumetrie originarie e persino i tracciati viari dell'impianto urbano di San Giovanni. In brevissimo tempo le differenze socioeconomiche fra i cittadini di Castel San Giovanni si sono accentuate e non é stato più sufficiente, per le esigenze di status delle famiglie maggiori, il lotto originariamente loro assegnato di sei metri (10 braccia fiorentine). Ben presto vengono operate fusioni di più case a schiera. Queste operazioni sembrano interessare, a partire dagli inizi del XV secolo, soprattutto la parte a sud della città e i lotti di maggiore profondità attestati su via Maestra.
La pianta di Piero della Zucca riproduce schematicamente il prospetto trasversale della città: gli edifici, di altezza progressivamente decrescente al diminuire della lunghezza degli isolati, coprono ormai per intero il lotto e ai piani superiori sporgono sulla pubblica via. Per larga parte non costruiti risultano tutti gli spazi di aderenza alle mura mentre il tessuto edilizio si infittisce progressivamente mano a mano che ci si avvicina al tracciato di via Maestra. Gli edifici, nella ricerca di spazio, si espandono oltre i confini dei lotti originari, sulle strade principali e al di sopra dei chiassi. I balconi ben presto vengono chiusi e integrati nell'edificio.
Si vedano a titolo di esempio il palazzetto ai nn. 80-82 di Corso Italia e il palazzetto al n. 25 di via Garibaldi. Le continue sopraelevazioni, richiedono ben presto il prolungamento dei balconi, mediante colonne o pilastri di sostegno, al pianterreno fino a racchiudere parte del suolo pubblico. Vane sono le frequenti disposizioni emanate dalle autorità comunali tendenti a limitare e a vietare gli "sporti".
Il risultato di queste trasformazioni, proseguite fino in tempi recenti, comporta il restringimento delle sezioni stradali e la privatizzazione fra i vari proprietari dei chiassi, ostruiti e ben presto divenuti ciechi.

Fino alla metà del secolo XIX la città resta sostanzialmente chiusa nelle sue mura originarie. La costruzione della linea ferroviaria Roma-Firenze determina una situazione nuova, perché permette di valorizzare alcune risorse economiche come lo sfruttamento della lignite nelle miniere di Castelnuovo dei Sabbioni, le cave di sabbia ed argilla, che fanno da base allo sviluppo industriale per la produzione di materiali siderurgici, di vetro, di mattoni.
Il rapido sviluppo industriale provoca un aumento della popolazione e una prima significativa espansione edilizia, prevalentemente lungo le assi delle vie principali del centro storico e verso l'Arno, essendo bloccata ad Ovest dalla linea ferroviaria. Ancora oggi, S. Giovanni Valdarno si sviluppa su un percorso allungato nella direttrice Arezzo-Firenze, lungo la ferrovia, l'Arno e l'autostrada del sole.

SUBBIANO

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I luoghi: Territorio e Ambiente
Subbiano è una terra in cui convivono bene contemporaneità e tradizione e dove il rapporto uomo-ambiente è ancora salvaguardato. Qui sono ancora vive le tradizioni ed il ricordo della vita di un tempo, nonostante i radicali e tumultuosi cambiamenti avvenuti nella vita di tutti i giorni dalla industrializzazione.
Nel punto dove la piana aretina restringendosi gradatamente si esaurisce nella stretta gola che da l'accesso alla vallata casentinese inizia il territorio di Subbiano alla cui guardia, sopra una rupe e incorniciata da alteri cipressi, è posta la massiccia torre quattrocentesca del Castello della Fioraia. Lo scenario di Subbiano si allunga con armonia lungo l'Arno che qui ha già le caratteristiche di un giovane fiume, con le acque chiare dalle rive inghiaiate, per poi fuggire verso l'alto sino al Monte Castello E Monte Altuccia dove si confondono i confini tra Casentino e Valtiberina, tra Subbiano e Caprese Michelangelo.

Subbiano è una piacevole sosta a pochi chilometri dalla città, permette escursioni veloci sia culturali che ambientali offrendo servizi per un soggiorno rassicurante, la simpatia dei suoi abitanti e un ottimo viaggio enogastronomico.

La storia di Subbiano ci riporta all'epoca romana quando il luogo era posto sotto la protezione di Giano come dimostra il suo nome Sub Jano.
Sui primordi appartenne al nobile Grifone di Grifone, questi nell'anno 1119 per cento soldi la vendè ad Albertino progenitore dei Conti Albertini di Chitignano, allora era contraddistinto come casale e corte di Subbiano, ma forse gli Albertini non ne fecero l'intero acquisto, poiché nel privilegio concesso nel 1191 dall'Imperatore Enrico IV ai conti Guidi si comprende la metà di questa corte e castello, e di questa metà gli stessi Conti Guidi ebbero la conferma di possesso dall'Imperatore Federico II nel 1220.
In seguito Subbiano fu dominato da Tarlati di Pietramala, finchè Pier Saccone, fratello del Vescovo Guido Tarlati lo sottomise al Comune di Firenze.
Cacciato il Duca d'Atente nel 1343 I Subbianesi si staccarono dalla Repubblica Fiorentina, ma nell'anno 1384 con quelli di Arezzo sotto il dominio della Signoria di Firenze.

Subbiano paese si concentra tutto a ridosso della riva sinistra dell'Arno dove sulle sue sponde si allineano le case a schiera inframezzate da antichi edifici e vecchi mulini. Il paesaggio è notevolmente addolcito rispetto alle zone dell'Alto Casentino, anche perché la pianura aprendosi verso Arezzo è più ampia.
La campagna intorno a Subbiano è bella e coltivata, oltre le colline di oliveti e vigneti, un tempo rinomata era la specialità del moscatello di Subbiano, che degradano verso il fiume si vedono macchie di vegetazione, filari di cipressi che fanno da cortina a vecchi casali ristrutturati e disegnano strade bianche di campagna.
Il paese conserva ancora il vecchio Castello affacciato sul fiume a cui si accede da una porta-torre che invita in una stretta strada lastricata che correndo tutto intorno alla Torre si apre in una bella porta con arco a sesto acuto che lascia scoprire tra le pietre antiche gli incavi delle botole e delle saracinesche che alzavano un pesante portone e un angolo di Subbiano attraverso la bella feritoia a bocca di lupo che un tempo completava la struttura difensiva. La porta della Torre conduce ad un piccolo cortile aperto sul fiume.

Di fronte al Castello, ma separata dal torrente Valbena, è la Chiesa di Santa Maria della Visitazione eretta nei primi anni del duecento a fianco dell'antica Chiesa del Castello intitolata a Santa Maria che si trovava dove oggi è la cappella della Madonna di Lourdes.

Nei vari secoli ha subito rimaneggiamenti e tra la fine del seicento e settecento la Chiesa fu allungata e rialzata. Il campanile di epoca più recente è datato 1857.
All'interno della Chiesa si trova un affresco raffigurante l'Incoronazione di Maria opera del pittore Giovanni Bassan come la Deposizione posta sopra la porta della Chiesa, entre l'abside conserva il Crocifisso ligneo seicentesco ritenuto dai fedeli di Subbiano miracoloso e per questo ancor oggi venerato. Il monumento posto sotto il loggiato della Chiesa è dedicato a Don Lorenzo Boschi fondatore dell'Ospedale di Subbiano e realizzato da Arnaldo Zocchi discepolo di Alessandro Duprè.

Lungo la via dell'Arcipretura, spicca palazzo Ducci, immobile storico e dimora signorile ristrutturata nel tardo Settecento. All'interno saloni con soffitti lignei a cassettoni dipinti dove più volte compare lo stemma Ducci, azzurro a catene d'argento poste a croce di SantAndrea, uno stemma che fa derivare le sue origini di questa che una delle famiglie più nobili del Casentino dai Conti Alberti di Catenaia.

Proseguendo da via Arcipretura si arriva a piazza del Castello e da qui a via Roma il passo è breve, ed è nel vecchio borgo che si affaccia palazzo Subiani-Ducci dalla cui facciata si possono vedere le vicende ereditarie. Al centro un bel portale acuto e sopra un massiccio stemma raffigurante una quercia affrontata da un leone e da un toro, sormontato dal galero vescovile. Lo stemma apprtiene all'antica famiglia Subiano o da Subbiano originaria del paese e iscritta nei registri della cittadinanza fiorentina fin dal 1555.

Sicuramente palazzo del Podestà l'edificio accanto nella cui facciata ci sono tracce di una maggiore antichità testimoniata dai resti delle arcate acute chiuse. Molti sono gli stemmi con iscrizioni ormai abrasi ed illeggibili. Il palazzo ha una propria cappella privata coperta da una volta con le caratteristiche "unghie" cinquecentesche che la uniscono alle lunette laterali. Elegante produzione del Settecento il grande altare marmoreo posto frontalmente come la pala affigurante la Madonna col Figlio e Sant'Antonio da Padova.

Nel 1944 Subbiano paese contava 1219 abitanti con 301 famiglie e con mezzo chilometro di strade, oggi Subbiano conta oltre 3000 abitanti semplici e schietti con il senso dell'ospitalità nella più classica tradizione toscana e molti più chilometri di strade.

TERRANUOVA BRACCIOLINI

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Il comune di Terranuova è immerso in un territorio affascinante e singolare, risultato di una complessa storia geologica: nel pliocene la valle dell’Arno era occupata da un grande lago, poi prosciugatosi per il lento fluire delle acque. Di questo periodo, durato milioni di anni, rimane un giacimento di reperti geologici fra i più famosi d’Italia, in parte conservati nel vicino Museo Paleontologico di Montevarchi. Le acque del lago plasmarono quelle che oggi sono una delle attrattive paesaggistiche più affascinanti della vallata, e cioè le Balze; una delle aree protette del nostro territorio, assieme alla Riserva naturale “Valle dell’Inferno” e alla Riserva naturale di “Ponte Buriano e Penna”.
L’Arno è protagonista e artefice dell’ambiente di fondovalle, ormai occupato da una città diffusa, dove si mescolano insediamenti industriali e urbani, realtà commerciali, periferie e vie di comunicazione. Attorno al fiume e ai suoi affluenti (come il Ciuffenna) si trovano altissimi pioppi, ontani, salici e piccoli boschetti di robinie e querce. Qua e là, maestose, le farnie. Salendo verso la Setteponti, inizia un paesaggio completamente diverso, più armonico e dolce, tipicamente toscano: sono le colline (250-300 m) dove il lavoro dell’uomo è riuscito ad integrarsi nei secoli con l’ambiente naturale. Qui, è il cipresso a segnalare confini, case coloniche, vialetti e piccoli tabernacoli. Tutt’intorno, il verde delle vigne e l’argento degli olivi, che oggi sono tornati a nuova vita, dopo la terribile gelata del 1985. Tipica della collina è la macchia, che copre gli spazi non coltivati, ed è costituita da erica, lecci, roverelle, ginestre, allori, ginepri. Oltre i 300 metri, inizia ad emergere la zona montana (prevalentemente costituita da arenaria o “macigno” che da sempre è stato materiale di costruzione per i terrazzamenti, le coloniche e le pievi romaniche) che, in un susseguirsi di poggi, gole e picchi rocciosi raggiunge la quota di 1591m. sulla croce del Pratomagno. La vegetazione è costituita da querce e olivi fino ai 600 m; poi inizia il regno del castagno (ancora importante nell’economia montana) e quindi il faggio, fino ai grandi prati della sommità.

…Il Giaggiolo: Girando per le campagne tra Terranuova e Loro Ciuffenna nel mese di maggio, ci si imbatte ancora nelle belle fioriture del giaggiolo. Intorno alle aie delle case coloniche, sulle scarpate, sotto le olivete sistemate a terrazzamenti, si notano le macchie violette dell’Iris pallida, o il giaggiolo dal fiore bianco sfumato in azzurro (Iris fiorentina). Oggi è una coltivazione quasi in via di abbandono, dopo essere stata molto importante nelle aree collinari e montane come integrazione dell’economia agricola (la radice essiccata viene ancora utilizzata dall’industria cosmetica e medicinale).

Le Origini: Da Castel Santa Maria a Terra Nuova
Terranuova deve la sua origine alla decisione della Repubblica Fiorentina di costruire un nuovo insediamento fortificato in Valdarno, oltre ai paesi di San Giovanni e Castelfranco, per accogliere le popolazioni dei borghi vicini in unica “terra murata” e per consolidare la propria egemonia in una zona contesa tra guelfi e ghibellini. La nuova fondazione, i cui lavori iniziarono nel 1337, fu chiamata in origine Castel Santa Maria, sia per la fervente devozione popolare alla Madonna, sia perché la prima pietra del paese fu posta a settembre, mese in cui si celebra la Natività della Vergine. Alla Madonna fu dedicata anche la chiesa principale del Castello, Santa Maria del Fiore, e l’immagine della Vergine con il bambino fu adottata come vessillo della comunità. Con il passare del tempo, tuttavia, il paese fu sempre più spesso indicato con il nome Terra Nuova, che finì per essere adottato come toponimo ufficiale all’inizio del XV secolo. Infine, nel 1832 con un Decreto Regio firmato da Vittorio Emanuele II e da Urbano Rattazzi, al nome Terranuova fu aggiunto “Bracciolini” in onore dell’umanista che aveva avuto i suoi natali nel paese valdarnese nel 1380.

L’impianto urbanistico
L’assetto urbanistico orginario di Terranuova, ancora oggi ben individuabile ha la forma rettangolare tipica delle “terre nuove” fiorentine e risente profondamente dell’influenza degli studi di Arnolfo di Cambio e delle planimetrie delle città romane con i loro cardini e decumani. La pianta del centro storico di Terrannuova, infatti, è totalmente simmetrica ed è basata sull’accostamento di due quadrati al centro dei quali si apre la piazza, attraversata dagli assi viari più importanti che conducevano alle porte torri, oggi non più esistenti, e circondata completamente da una cinta muraria della quale, invece, restano ancora evidenti tracce. La via “maestra” che tagliava il paese in due era la più larga; parallela ad essa andavano verso l’esterno altre vie; i lotti delle abitazioni, quindi, si venivano a disporre su tre lunghe file parallele interrotte dalle vie trasversali. La profondità degli isolati, così come l’estensione in facciata dei lotti, diminuiva man mano che si andava dalla via principale verso le mura; in questo modo al centro furono subito create le residenze in pietra più ampie e sfarzose, che nel corso del ‘500 divennero palazzi signorili, mentre in quelle più esterne furono erette case più modeste in terra costipata dalla tipica forma a torre o schiera.

La “terra murata”
La mappa di Vittorio Anastagi del 1734 e, soprattutto le mappe del catasto leopoldine, conservate presso l’archivio di Stato di Firenze, permettono una ricostruzione accurata e dettagliata della pianta di Terranuova. Essa aveva le caratteristiche tipiche delle “terre murate” fiorentine: le cortine rettilinee merlate, su cui si aprivano feritoie ad intervalli regolari, camminamenti interni, torri d’angolo, quattro porte torri e una grande piazza centrale fulcro della vita del paese.
- Le Mura e le torri d’angolo: interamente circondate da un fossato ecostruite con ciottoli di fiume e pietra della cava della Cicogna, sono oggi visibili solo per un tratto a sud-est e per tutto il loro perimetro di nord-ovest quest’ultimo con ancora intatti alcuni camminamenti e torricelli; rimangono inoltre ancora oggi tre delle quattro torri d’angolo, quella a nord, a sud e ovest.
- Le porte, sormontate da torri e provviste di ponte levatoio, poste ai quattro ingressi al paese, erano dedicate a San Batolommeo (la porta Fiorentina, rivolta verso Montevarchi), San Giorgio (la porta Ciuffenna che conduceva al fiume omonimo), San Pietro (dal 1585 Porta Campana) e San Niccolò (o Porta Campana fino al 1585). Delle quattro porte rimane oggi solo il piediritto della porta situata sul lato nord, le altre furono completamente distrutte dalle mine tedesche durante la ritirata del 1944.
- La Piazza centrale: punto di incontro e di sviluppo dei due percorsi principali che collegavano materialmente e visivamente la struttura urbanistica con le mura, era anche il cuore pulsante della città. Essa si trovava in posizione perfettamente centrale rispetto ai quattro quadranti in cui fu diviso il paese, ognuno dei quali divenne dimora dei sei popoli che andarono a comporre il primo nucleo di abitanti di Terranuova.

I sei popoli di Terranuova
La divisione della città fu utile per la sistemazione ordinata dei sei popoli del contado che divennero i primi abitanti di Terranuova: il popolo dei Mori, di Ganghereto, delle Cave, del Pozzo, del Terraio e di Pernina. Le popolazioni che si trasferirono nel XIV secolo dentro il castello portarono con sé le loro tradizioni popolari e religiose, e ricostruirono all’interno delle mura le chiese dei villaggi che avevano abbandonato mantenendo il toponimo d’origine nella loro dedicazione. Ciò permise ad ogni gruppo di conservare attorno alla sua chiesa e nel proprio quadrante una propria identità: furono così costruite le Chiese di Ganghereto, di San Bartolomeo al Pozzo, di Pernina, di San Biagio ai Mori e di San Niccolò al Terraio. Alle chiese dei diversi popoli si affiancò quella di tutta la comunità che, come abbiamo visto fu dedicata alla Madonna.

Terranuova oggi
Terranuova in età contemporanea ha subito profonde trasformazioni: durante il passaggio del fronte tedesco in ritirata, nell’estate del 1944, il paese è stato minato e gran parte dell’impianto urbanistico storico è stato distrutto – parte delle mura, le porte, alcuni palazzi rinascimentali -; nell’immediato dopoguerra, fino ai primi anni ’70, un massiccio esodo verso centri più operosi fece diminuire la popolazione di circa il 25% rispetto all’anteguerra. A partire dagli anni ’70 Terranuova ha però attuato un fruttuoso piano di riconversione industriale che ha richiamato gli abitanti emigrati ed ha attirato molti nuclei familiari dal sud Italia tornando ad avere, ad inizio del nuovo secolo, un costante aumento della popolazione. Oggi importanti aziende operano nel territorio comunale, legate ai settori di punta dell’economia italiana come l’alta moda e le energie rinnovabili. Anche le campagne hanno vissuto, negli ultimi anni, importanti trasformazioni: molti dei poderi abbandonati sono tornati a nuova vita grazie ad un nuovo tipo di agricoltura basata sulla produzione di prodotti alimentari di nicchia, come il Fagiolo Zolfino, il vino e l’olio biologici, e molti delle antiche case coloniche leopoldine si sono trasformate in agriturismi pronti ad accogliere il crescente flusso turistico attratto dalle bellezze storiche, artistiche e paesaggistiche del comune.